“Per le anime è morte diventare acqua, per l’acqua è morte diventare terra, ma dalla terra si genera l’acqua e dall’acqua si genera l’anima”
Eraclito, Frammenti
L’oggetto della Psicologia è lo studio scientifico del comportamento e dei processi mentali (Smith et al., 2006). Una definizione diversa, più fedele all’etimologia del termine, potrebbe sviare. Definire la Psicologia come lo “studio della psyche” comporta il problema di capire cosa significa “psyche” (Cornoldi e Tagliabue, 2004; Vicario, 2001). Un’indagine etimologica, un’analisi del termine, è poco utile per comprendere l’oggetto dell’attuale Psicologia, potendo un significante assumere infiniti significati diversi, col fluire del Tempo, in virtù del rapporto convenzionale esistente fra rappresentate e rappresentato.
Di contro, ricercare il significato originario del termine psyche potrebbe fornirci un’informazione diversa: capire se l’attuale Paradigma della Psicologia, nel suo divenire storico, abbia perso la capacità di studiare e di riflettere la realtà profonda che l’era anticamente attribuita, rispetto la quale, oggi, sia divenuta simulacro a là Baudrillard (1981).
L’ipotesi d’una realtà profonda perduta è confermata dall’analisi storica del pensiero occidentale sull’argomento. Ad esempio, all’interno della cultura greco-romana si riteneva che chi sceglieva i “beni dell’anima/psiche” prediligeva le “realtà più divine”, mentre chi preferiva i “beni corporei” eleggeva quelle “più umane” (Democrito). Un’idea rimasta stabile, pur nelle vicissitudini storiche, culturali e religiose, fino al 1700 quando fu ribaltata dall’Illuminismo. Fu durante il “così detto” secolo dei “lumi”, che Psiche passò dal rappresentare: le “realtà più divine” a quelle “più umane”.
Una testimonianza di questo mutamento è stata fornita da Comte. L’autore asserì la psicologia essere l’ultima evoluzione della teologia. In altre parole, la Psicologia fu vista come lo stadio positivo della Teologica. Questo confermò la tendenza del tempo di privare i costrutti (… quali quello di psyche/anima…), d’ogni elemento metafisico al fine di ricondurli a phenomena empirici, osservabili cogli strumenti del tempo.
Un “passaggio” di significato che condusse psyche a diventare simulacro rispetto al rappresentato originario. Un rappresentato che non poteva essere studiato e rilevato con i limitati “strumenti del tempo”. Ecco come psyche, perdendo ogni altro significato, divenne sinonimo di: pensiero; intelletto; emozione; comportamento. Psiche però era altro rispetto a: mens; intellectus; intelligentia; ingenium; motus; affectus; etc… .
Dietro ad un apparente processo evolutivo, acclamato dal Pensiero Unico, si consumò parimenti un processo devolutivo che portò psyche a svuotarsi di grand parte del suo significato, finendo (rispetto ad esso) ad essere un simulacro a là Baudrillard (1981).
Un processo di “simulacrizzazione” accentuato dal conflitto che si originò tra: Scienza e Fede. Quest’ultimo, impedì la possibilità di creare, in Occidente, un logos su psyche libero da prese di posizione ideologiche. L’accademia si rifiutò di prendere in considerazione tutto ciò che proveniva dalla Religione. Una disciplina incapace di rispettare la Legge di Hume[1] e per ciò definita fabula, superstizione, stadio primitivo d’un evoluzionismo sociale. Di contro, la Psicologia fu elevata a Scienza, nonostante lo status epistemico fortemente eterogeneo fra le discipline che la costituiscono (Epis, 2011/2015)[2]. Infatti, mentre la Psicologia Fisiologica e la Psicologia Sperimentale hanno piena cittadinanza nel Paradigma Scientifico, altre discipline rientranti nella Soft Psychology[3] ricadono in un “limbo” d’ambiguità, di confusione e d’indeterminatezza. Molte delle loro teorie non possono essere: né completamente corroborate; né completamente confutate (Meehl, 1978). In questo modo si crea un Paradigma contradittorio, co-abitato da teorie opposte, che rendono possibile, di volta in volta, sostenere tutto e l’infuori di tutto. In questo modo ciò che si sostiene, ed il successo pro tempore d’una teoria rispetto un’altra, dipende prevalentemente dagli interessi “politici” (intesi nel senso più ampio possibile) piuttosto che dai fatti oggettivi (Braun, 1966; Gergen, 1973; McGuire, 1973; Meelhl, 1973a, 1973 b, 1978, 1990a, 1990b, 1997a, 1997b; Smith, 1973; Schlenker, 1974; Fiske, 1974; Hogan, DeSoto e Solano, 1977; Mischel, 1977; etc…). Un paradigma che, essendo costituito da un insieme di costrutti incoerenti, sarebbe contradittorio. Ciò significa, conformemente alle le leggi logiche, che è sempre falso. Per chiarire il concetto, prendiamo ad esempio il costrutto della personalità antisociale. Un costrutto nato nel 1800 (con Pinel) al fine di descrivere soggetti violenti e pericolosi, dediti all’attività criminosa, privi di scrupoli e freni morali così d’essere propensi all’uccisione del prossimo. Un costrutto, che proprio per le incoerenze dette supra, presto perse ogni legame con la realtà oggettività dei fatti (l’attività criminosa; la pericolosità sociale; l’indole violenta) finendo in un insieme di tratti di personalità (che sono nulla più di: costrutti artificiali; entità vaghe facilmente manipolabili con l’interpretazione) così da arrivare presto all’incoerenza palesata in letteratura[4] fra le figure antinomiche: dello “psicopatico criminale”; e dello “psicopatico non criminale”. Malgrado entrambi i soggetti “condividano” gli stessi tratti di personalità (!?!?), solo i primi concretizzano comportamenti criminosi, violenti, etc… . I secondi, di contro, sono soggetti “normali”, ben integrati, molto spesso pro-sociali[5]. Un’incoerenza che condusse gli artefici del DSM, grazie all’influenza esercitata dagli psichiatri, ad imporre per la diagnosi della personalità antisociale l’occorrenza d’una oggettiva attività criminosa. Un tentativo disperato al quale seguì un incremento dell’incoerenza. Ognuno iniziò a rielaborare il costrutto a suo piacimento. Alcuni lo scissero in due: quello della personalità antisociale (legato a fatti oggettivi); e quello della psicopatia (legato ai meri tratti). Altri lo elaborarono come un unico costrutto rispetto al quale, le due figure viste rappresentano i due gradi d’intensità dello stesso stato psicopatologico. Inoltre, coll’aumento del numero delle scale diagnostiche, aumentarono le contradizioni nelle diagnosi. Spesso, nella pratica professionale, non si usa neppure alcuna scala. Alcuni professionisti diagnosticano basandosi sulle loro “sensazioni del momento” che poi, in un eventuale controesame, ribattezzano colla più elegante espressione di “esperienza clinica”. Non di rado accade che: prima sia decisa la “diagnosi”; poi, ex post, sono selezionati e reinterpretati tutti gli elementi del caso per farli “forzatamente” combaciare con una scala e/o col DSM. L’apice dell’incoerenza fu raggiunto da Lilienfeld (1994). Egli arriva a fornire (senza ombra di dubbio) una formulazione logica del tipo P E NON P. L’autore, per le incoerenze dette supra[6], trovò una correlazione positiva tra soggetti diagnosticati psicopatici/antisociali (… con le scale diagnostiche di riferimento…) e la frequenza di comportamenti altruistici (pro-sociali). Difronte a tale contradizione, concluse che il costrutto della psicopatia doveva incorporare il comportamento altruistico ed eroico. Di contro, un sostanziale sottogruppo di psicopatici (dediti al comportamento pro sociale e non criminale) sarebbe risultato un falso-negativo (!) sfuggendo alla diagnosi (!!). In altre parole, l’autore suggerì come criterium diagnostico del comportamento e della personalità antisociale, il comportamento pro-sociale (!!!!). Un insieme d’incoerenze che portarono nel tempo numerosi autori a definire il costrutto di psicopatia come: teoricamente insoddisfacente, praticamente sviante, dannoso al pensiero scientifico (Kinberg, 1946); privo di prove scientifiche e d’utilità clinica, una entità mitica, un giudizio morale mascherato da diagnosi clinica (Blackburn, 1988); un moralismo camuffato da scienza medica (Calvaldino, 1998); un esempio di come i costrutti psicopatologici implodono su se stessi (Epis, 2006); etc… .
Non solo, il problema delle incoerenze (capace di per se a far implodere il Paradigma) è aggravato da un’altra violazione fondamentale. La Psicopatologia viola la legge di Hume allo stesso modo della Teologia, dell’Etica, della Metafisica, del Diritto, etc…[7]. In altre parole, essa sarebbe nulla più d’un giudizio morale (d’un’entità appartenente al mondo normativo) mascherata da Scienza.
La legge di Hume, infatti, è criterium di demarcazione tra ciò che è empirico e ciò che non lo è. Violarla significa attraversare un confine “dimensionale” tra il “regno” della Logica Formale e quello della Logica dei Valori. Mentre nel “primo regno” le asserzioni possono essere valutate in termini di vero o falso ed il ragionamento in termini di valido o invalido, nel “secondo regno” non è possibile. All’interno della dimensione normativa, tutto diventa mera “opportunità politica”, un “gioco di retorica”, una scelta arbitraria. La Logica dei Valori, o Nuova Retorica a là Perelman, non consente alcun controllo sulla validità o verità di ciò che è sostenuto. Semplicemente come facevano i Sofisti, serve solo ad argomentare in modo “razionale” le scelte prese antecedentemente su motivi d’opportunità, e/o interesse politico.
Ciò conduce al paradosso che, non di rado la Psicologia acclamata da Comte come lo Stadio Positivo della Teologia, finisce nel violare gli stessi critera di cui quest’ultima fu accusata. Non solo, molte sue teorie e scuole sono accettate prevalentemente per fede piuttosto che per fatti.
Tutto questo ci porta alle seguenti domande: perché quando una disciplina viola la legge di Hume è da scartare, invece, quando è un’altra a violarla non bisogna neppure dirlo?; è possibile che la “scienza” sia guidata da ideologie ed interessi? è possibile che siano usati pesi e misure diverse?
Queste domande hanno condotto alcuni a dubitare dei paradigmi ufficiali, chiedendosi se questi non siano stati distorti da alcune ideologie pericolose conseguenti il mito del progresso a là Hatch (2006).
Così, per iniziare una ricerca sull’originario significato attribuito a Psyche, partiamo guardando ad Oriente. Una cultura che nei secoli mantenne un legame colle realtà “più divine” di cui parlò Democrito.
Nel pensiero orientale psyche/anima esprime solitamente due dimensioni diverse (seppure ricollegate fra loro): quella del soffio vitale, inteso e descritto come prana e/o Qi; e quella l’essenza spirituale consapevole, identificata prevalentemente coll’Atman[8] e/o Jiva[9].
Esaminiamo brevemente le due accezioni.
Il concetto di soffio vitale è espresso: in sanscrito, colla parola prana; in cinese, con l’ideogramma Qi. Esso identifica l’energia vitale capace di fluire nei canali energetici dell’Uomo, chiamati: in sanscrito, nadhi; in cinese, mai. All’interno della cultura indiana, i tre canali energetici principali sono: ida; pingala; e susumna. Ida è il canale energetico che dalla narice destra porta il soffio inspirato al centro dove viene trasformato da agni (il fuoco). Pingala è il canale ascendente, che traporta il soffio espirato all’esterno attraverso la narice sinistra. Susumna è il canale centrale, attraverso il quale la Kundalini (e/o Ahirbudhnya) risale una volta risvegliata/o. Il pranayama descrive le trasformazioni del soffio vitale: prana; apana; udana; vyana; samana; kumbhaka. Sebbene i nomi cambiano nelle diverse tradizioni, la sostanza dell’insegnamento resta la stessa[10].
Nella cultura cinese, i canali energetici (Mai) si suddividono in due gruppi: i canali speciali (Qi Mai); ed i canali ordinari (Zheng Mai). I primi costituiscono la struttura energetica profonda dalla quale emerge la struttura ordinaria; essi sono otto. Di questi, i tre principali sono: Ren Mai; Du Mai; e Chong Mai. Mentre Chong Mai, il canale centrale, conserva la stessa posizione del suo corrispettivo indiano (susumna), gli altri due occupano posizioni diverse. Ren Mai è il canale anteriore, che dalla bocca va al perineo; Du Mai è quello posteriore, che dal perineo risale fino a ricongiungersi col Ren Mai nel suo punto d’origine. Il fluire del soffio all’interno del circolo formato da questi due canali è detto Piccolo Circolo Celeste. La struttura ordinaria è costituita da 12 canali chiamati Jing. Questi sono molto conosciuti dal pubblico per l’importanza rivestita nell’agopuntura e nello shiatsu.
Il concetto di soffio vitale originato all’interno delle culture derivate dai veda è ripreso all’interno della cultura Greco-Romana. Un corpus d’influenze che raggiunse il bacino mediterraneo colle invasioni indoariane. Non a caso, la parola psyche deriva dalla parola vedica psu che significa “soffio” (Thieme, 1982).
Psu, infatti, indica il soffio vitale nelle parole composte altrimenti chiamato prana.
Detto ciò, cosa sia il prana è oggetto d’ampie discussioni.
Alcuni lo identificano nel Qi del Qi Gong, distinguendo così tra: soffio vitale (Qi); e respiro normale (Xi). Una distinzione condivisa dallo Samkhya-Yoga, il quale la esprime attraverso altri due termini: prana, per indicare il respiro; e vayu, per indicare il soffio vitale. Il soffio vitale (vayu) sarebbe il prana veicolato attraverso i suoi cinque aspetti: prana; apana; samana; vyana; udana.
L’accezione di anima, intesa come soffio vitale, è in ogni caso legata al secondo significato proprio del termine: “essenza spirituale consapevole ed autoriflessiva”. Questa dimensione, presa da sola, è chiamata colle parole: atman e/o jiva. Jiva indica l’anima individuale unita al corpus[11] come affermato dal Manavadharmasastra (capitolo 12, versetto 13). Jiva è il vivente senza il quale “i soffi vitali non possono far muovere il corpo” (Mahabharata, Narayaniya, quinto Adhijaja, versetto 36). Un vivente imprigionato nel corpo all’interno del ciclo delle rinascite (samsara)[12]. Per uscire da tale ciclo, egli ha da raggiungere la condizione chiamata dvija (rinato). Una condizione che non assume alcuna valenza “magica”, essendo definibile operativamente come la capacità di passare: da uno stato dominato dal determinismo, ovvero mosso dagli “input” esterni; ad uno stato dominato dal libero arbitrio, nel quale l’individuo raggiuge la capacità di autodeterminarsi in modo diverso, ed indipendente, dagli input esterni.
La psicologia potrebbe essere “scienza” solo nei confronti del primo tipo di uomo[13]. Di contro, perderebbe valore verso il dvija, capace di libero arbitrio. Per raggiungere la condizione di dvija, il Manavadharmasastra (capitolo 12, 92) indica: “il massimo impegno alla conoscenza del Se, alla serenità interiore”. Il linguaggio usato dai testi antichi (non è da prendere alla lettera) poiché è “criptato” in un codex simbolico. Un codex collo scopo di “scremare” tra chi possa avere accesso e chi no agli insegnamenti[14].
Diventando Dvija si raggiunge il “completamento delle rinascite” (Manavadharmasastra, capitolo 12, 93). In questo modo ci si libera dalla prigionia del samsara.
Il concetto di anima illustrato dal Mondo Orientale è simile a quello Occidentale proprio della Cultura Greco-Romana.
Non a caso, l’etimologia delle parole psyche e anima esprime proprio: il soffio vitale; respiro; vento. Non solo, ad esse fu legata pure l’idea d’essenza individuale immortale.
Quest’ultima era propria: delle dottrine pitagoriche; dei misteri greco-romani (exempli gratia: gli orfici; gli eleusini; etc…); della filosofia platonica; e d’alcune opere letterarie tra le quali (per importanza) cito l’Eneide (libro sesto).
Enea, una volta giunto nell’oltretomba, chiese al Padre Anchise:
“O padre, dunque, alcune
Creder si deve che fra i vivi ancora
Torneranno a vestire i grevi corpi?
E quale mai, nei miseri, sì grande
Brama funesta della dura vita?”[15]
Anchise rispose:
“ …“Te lo dirò, né ti terrò sospeso”
Ed ogni cosa a dire imprese Anchise
Con ordine svelando arcani fati”[16].
Secondo Virgilio, dall’Anima Universale (che può essere vista come Brahaman) s’alligna il principio vitale d’ogni essere vivente (atman).
Un principio vitale che entrato nel corpus vi rimane imprigionato come in un “carcere”. Colla morte del corpus, esso torna nell’aldilà dove, dopo varie vicissitudini, è chiamato da un dio presso il fiume Lete. Qui viene reso immemore di se stesso e delle sue vite precedenti, così da essere sospinto al desiderio di nuova rinascita.
In passato (al di là dei: simboli; nomi; miti; allegorie) non c’erano forti contradizioni sostanziali tra le dottrine Occidentali ed Orientali.
Il cambiamento avvenne quando, in Occidente, la dottrina della metempsicosi fu abbandonata coll’avvento del Cristianesimo. Ogni “esplorazione” delle “realtà più divine” di Psyche fu repressa e combattuta: prima, colle lotte contro le eresie; poi, colla Santa Inquisizione; e per finire, col pensiero illuminista.
Solo in Oriente, “la dimensione metafisica” di psyche fu indagata senza tabù.
Il rigetto Occidentale d’indagare questa dimensione è insensato da un punto di vista razionale. Per logica, nulla esclude a priori la possibilità di questa dimensione. Questo è dimostrato dal fatto che: l’assenza di prova non è evidenza d’inesistenza. Inoltre, la stessa struttura logica sottostante alla ricerca Scientifica, basata su un condizionale materiale (Se P, allora Q) sostiene tale possibilità. Infatti, per logica, si ha un’inferenza falsa solo quando è falso l’antecedente ed è vero il conseguente. Di contro, l’inferenza è valida in ogni altro caso. Questo poiché il conseguente può accadere anche senza l’occorrenza dell’antecedete. In altre parole, possiamo solo dimostrare l’esistenza, mentre non possiamo mai dimostrare l’inesistenza di qualcosa.
Per tali motivi, negare l’esistenza d’ogni aspetto metafisico di psyche sarebbe insensato. Ciò implicherebbe affermare un bicondizionale nella matrice della ricerca scientifica: (Se P allora Q) E (se Q allora P).
L’insensatezza diventa palese traducendolo. Esso affermerebbe qualcosa del genere: “tutto ciò che esiste ed accade nel Mondo esiste ed accade solo, e solo se, è stato provato ed accettato nel Paradigma Scientifico”. Un’affermazione la cui fallacia è evidente a chiunque.
In questo scritto, quindi, si vuole investigare questa “dimensione perduta”. Una dimensione eliminata ed ignorata dalla psichiatria e dalla psicologia (Hillman, 1996) sebbene trattata da molte culture come nucleo centrale: della personalità; e del destino individuale.
L’ipotesi di lavoro: Psiche come Anima Immortale
I primi a riappacificarsi con la Fede (paradossalmente) sono stati i fisici[17]. Ciò accadde nello scoprire che la concezione meccanicistica del Mondo, caposaldo dell’Illuminismo, era una visione inadeguata per descrivere i fenomeni fisici sub-atomici (Capra, 1975). Questi phenomena, infatti, si rilevarono maggiormente compatibili colle concezioni elaborate dai mistici, definite da Capra (1975): organicismo[18]. Capra (1975) affermò come la nuova concezione della fisica moderna sia simile a quella del misticismo orientale.
Il mistico ed il fisico, procedendo per due direzioni opposte giungono alla stessa conclusione. Il mistico, partendo dall’interiorità, indaga ed esplora i livelli della coscienza. Il fisico, partendo dal Mondo esterno, indaga ed esplora i fenomeni materiali (Capra, 1975). Procedendo per due direzioni opposte, alla fine, entrambi giungono alla stessa conclusione (coincidentia oppositorum). Una conclusione riassumibile nell’identificazione del Brahman coll’Atman (Capra, 1975)[19].
La coscienza, dall’autore, è riconosciuta come oggetto della mistica.
La psicologia occidentale, di contro, s’è rivelata incapace d’andare oltre la concezione meccanicistica ed apparente del mondo.
Da una parte, il comportamentismo, il cognitivismo e le neuroscienze, per affermarsi come discipline empiriche e scientifiche hanno fatto di tutto per rilegarsi all’interno d’una visione meccanicistica.
Dall’altra parte, discipline quali la psicoanalisi sono nulla più di più di: “derive semiotiche”; un insieme di pratiche discorsive basate su interpretazioni retrospettive, fatte attraverso le lenti deformanti d’alcuni costrutti coi quali l’intera Realtà viene reinterpretata conformemente ad essi. Essendo solo pratiche interpretative, tutto ciò che affermano e producono non può essere né convalidato né confutato, allo stesso modo di come non può essere né convalidata né confutata una interpretazione religiosa degli eventi.
La sensazione di riscontro data da tali discipline è mera illusione, puro inganno, creata dagli stessi filtri cognitivi (lenti deformanti) usate per interpretare la Realtà.
Nel Mondo Anglo-Americano, a partire dal Simposio di New York (1958), fu denunciata la superstizione psicoanalitica. Da allora, la psicoanalisi (nella maggior parte delle Università Anglo-Americane) fu bandita dai corsi ufficiali in Psicologia. Ciò portò molte Università a scegliere, per i corsi di studio in Psicologia, curricula d’approccio Cognitivo-Comportamentale. Molti corsi di Laurea, per sottolineare tale approccio, mutarono il nome in Behavioural Sciences.
Di contro, alcune dottrine orientali iniziarono a destare l’interesse accademico d’alcuni ricercatori.
Uno di questi fu Ian Stevenson, docente di psichiatria all’Università della Virginia. Egli fu pioniere nello studio accademico della reincarnazione. Esempio dei suoi studi è fornito dal libro: Twenty Cases Suggestive of Reincarnation (1966-1974).
Stevenson fu definito un investigatore metodologico ed attento capace di provare l’autenticità d’alcuni ricordi di presunte vite precedenti attraverso controfattuali. Un sample di questi ultimi è dato: dalla verifica storica degli eventi raccontati dai soggetti; dalla presenza di marchi somatici nella parte del corpo in cui fu inferta la ferita mortale che pose fine alla nella precedente incarnazione; ed la presenza di fobie per l’“oggetto” che causò la morte nella precedente vita.
Fu rilevata anche una correlazione positiva tra le morti violente e la capacità di ricordare le vite precedenti.
I lavori di Stevenson (e dei suoi collaboratori) fornirono diverse prove a sostegno della reincarnazione nonostante alcuni sostengano l’assenza d’evidenze assolute (Spanos, 1996)[20].
Nonostante ciò, i suoi lavori hanno reintrodotto all’interno della psicologia e psichiatria alcune dimensioni originarie attribuite a Psyche, rimaste per duemila anni un tabu in Occidente.
Obiettivo di questo Saggio è creare un logos introduttivo su Psyche capace di fornire una “mappa” per successivi studi e ricerche sull’argomento.
L’interdisciplinarietà è necessaria in quanto, come affermato da Popper, non esistono confini tra le discipline ma solo domande a cui dare risposte. Rimanendo rinchiusi all’interno dei confini d’una disciplina, sarebbe come voler risolvere una funzione possedendone solo una piccola parte. Inutile dire che, una tale computazione condurrebbe ad un risultato errato.
[1] La legge di Hume impedisce di poter passare dalla dimensione descrittiva a quella normativa.
[2] Vedere: Epis (2011/2015), De Nova Supestitione – Alcune questioni sullo Status epistemologico della Psicologia, Psicopatologia e Psicanalisi. Una versione sintetica, scritta nella forma di Saggio, è stata pubblicata nel 2015 sul sitoweb: www.lukae.it.
[3] che include: la Psicologia Sociale e di Comunità; la Psicologia dell’Educazione; la Psicologia della Personalità; la Psicologia Clinica e Psicopatologia; il Counselling (Meehl).
Di contro la psicoanalisi non rientra neppure all’interno della soft psychology essendo una mera pratica discorsiva, basata su interpretazioni retrospettive, deformate dalle lenti interpretative usate, sfocianti in derive semiotiche.
[4] Che resero infalsificabile lo stesso costrutto, violando così tutti i principia razionali su cui è fondato il Pensiero Scientifico.
[5] Ci sono stati psicologi clinici che hanno visto tratti di psicopatia in personaggi quali Madre Teresa di Calcutta! Essa disobbedì all’Autorità che gli chiese di non curare i fuori casta. Ella non si omologò alla massa ch’era solita disinteressarsi d’essi (mostrando così una certa incapacità ad imparare, tratto tipico dello psicopatico). Ella mostrò pure la “pericolosissima” callosità nel perseverare nella sua disobbedienza. Per finire, quella donna, per fare ciò che voleva, arrivo pure a fondare un proprio Ordine. Che dire, doveva essere veramente “furi”!?!?
[6] E l’effetto del crud factor (per il quale nelle scienze sociali tutto correla con tutto).
[7] La Psicopatologia viola la Legge di Hume poiché passa continuamente dal descrittivo (e.g. una normale distribuzione) al normativo (e.g. definire cosa è: normale; ed anormale). La “malattia mentale” spesso è nulla di più dal deviare: dalla maggioranza; dal Pensiero Unico; dalle “norme” arbitrariamente imposte dall’egemonia pro tempore, per garantirsi i propri privilegi e/o interessi. Uno strumento d’omologazione che il Potere a là Foucault ha a disposizione per imporre comandi, camuffandoli in forme grammaticali fuorvianti.
Una violazione non priva di conseguenze operando in un’area di forte impatto ed interesse nel controllo sociale (Foucault 1972, 1976, 1978, 1980, 2001, 2005, 2006; Goffman, 1961; Rosenhan 1973, 1975; Szasz 1960, 1963, 1970, 1971, 1972, 1974, 1990, 1992, 2000, 2003, 2004).
[8] Il concetto di Atman esprime l’essere consapevole di se stesso. L’anima imprigionata nel samsara che come obiettivo, nella ruota delle reincarnazioni, ha quello di raggiungere la liberazione identificandosi col Brahman.
[9] Il concetto di Jiva pone, di contro, l’accento sull’anima individuale prigioniera all’interno del corpus (deha in sanscrito). In altre parole esprime lo stesso concetto presente nella Scuola Pitagorica e negli Orfici, secondo i quali Psyche era prigioniera nel Soma.
[10] Exempli gratia, nel Kalacakra i tre canali principali sono chiamati: lalana (il canale di sinistra); rasana (il canale di destra); avadhuti (il canale centrale). Il numero delle nadi (conformemente allo Yoga classico) è di 72.000.
[11] Conformemente all’uso fatto nell’Induismo, mentre nel Giainismo il termine indica l’intera comunità di Spiriti Liberati.
[12] L’immagine del vivente imprigionato nel corpo descritta supra è presente pure nella cultura Greco-Romana. Essa è espressa in diversi miti, uno di questi è quello di Prometeo ed Epimeteo. Epimeteo rapprenderebbe l’uomo esteriore al quale Prometeo, il suo intelletto, è legato (Zosimo, Memorie Autentiche).
[13] Questo poiché la Scienza per esistere ha bisogno del Determinismo, essendo la caratteristica principale delle Leggi Scientifiche quella di poter fare predizioni. Non a caso, il Positivismo Logico usava come criterium di demarcazione il test di validità. Di contro, il Libero Arbitrio esclude ogni possibilità predittiva delle Leggi Scientifiche e del test di validità.
[14] L’ipotesi d’un linguaggio criptato è ripetutamente suggerita in tutte le tradizioni. Ad esempio la Bibbia, libro dei Proverbi esorta “l’intelligente” ad acquistare “sagacia” per “capire i proverbi e le allegorie, i detti dei savi e i loro enigmi”. Allo stesso modo, nonostante molti prendano i testi alchemici alla lettera, la maggioranza degli autori principali concorda che il linguaggio usato è allegorico (Stefano di Alessandria; Cleopatra; Zosimo; Bacone; Paolo di Taranto; Basilio Valentino; etc…). Non solo, oltre a criptare la comunicazione attraverso molteplici allegorie, lo stesso processo viene allungato, camuffato e complicato (Maria l’Ebrea; Zosimo; Pietro da Silento; etc…).
[15] Virgilio, Eneide, quarta edizione, Torino: Paravia & C. (1963), pagina 284.
[16] Virgilio, Eneide, quarta edizione, Torino: Paravia & C. (1963), pagina 284.
[17] Come esempio italiano ricordo Zichichi (1999), Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo.
[18] L’organicismo considera tutti i fenomeni dell’Universo parte integrante d’un tutt’uno inseparabile ed armonioso.
[19] Capra riconosce che entrambi usano il metodo empirico.
[20] Un’obbiezioni che fa sorridere in quanto: l’evidenza assoluta è un qualcosa di non esistente. La stessa Fisica procede in assenza di evidenze assolute. Non solo, Spanos stesso non ha mai fornito alcuna evidenza assoluta delle sue affermazioni!
Ogni volta che s’invoca l’evidenza assoluta è barare intellettualmente, essendo questa un’entità impossibile.