De Nova Superstitione – Alcune Questioni sullo Status Epistemologico della Psicologia

You have only to search an emancipate man’s mind long enough to come upon an abyss of superstition somewhere, nowadays generally scientific.”

Bernard Shaw, Letter.

Blind commitment to a theory is not an intellectual virtue: it is an intellectual crime

Irme Lakatos

Siamo noi che produciamo le teorie scientifiche, siamo noi che critichiamo le teorie scientifiche. In ciò sta’ tutta la teoria della scienza: noi inventiamo le teorie e noi uccidiamo le nostre teorie

Karl Popper

Rationale

Introduzione

Etimologicamente metodo deriva dal latino methodus, il quale a sua volta riprende due termini del greco antico: meta e hodos. Il significato è: dirigersi verso una meta; e/o il modo di procedere verso una destinazione. La metodologia, quindi, concerne il modus operandi inerente, la raccolta e l’elaborazione dei data che riguardano la natura dell’oggetto studiato (Hagan, 2006). Un’attività necessaria per raggiungere l’obiettivo della Scientia: descrivere e scoprire regolarità fra gli eventi della Natura; formulare leggi (McBurney, 2001; Pedon & Gnisci, 2004; Zappalà, 2007; Chiorri, 2009).

Molto spesso quando si parla di metodo, però, non s’intende il Metodo Scientifico così come elaborato all’interno della Riflessione della Teoria della Scienza. Di contro, s’intende una rielaborazione di quest’ultimo fatta dalle diverse Comunità di Discorso  a là Lyotard.  Ognuna di queste, in base alle proprie esigenze, lo riadatta in funzione alla capacità della propria disciplina a soddisfarlo. Questo comporta, di fatto, una certa ambiguità che tende a minimizzare il valore eterogeneo di conoscenza prodotto dalle diverse Comunità. Paradigmatica è la differenza fra le Scienze Naturali e le Scienze Sociali.

Rispettare un metodo, quindi, non garantisce l’arrivare ad alcunché di vero. Semplicemente, permette di produrre un artefatto[1] riconosciuto come proprio da un dato Paradigma e/o una data Scuola.

In quest’articolo esamineremo themae inerenti: lo status epistemologico della Psicologia; come questo sia eterogeneo nelle discipline che la compongono. Una riflessione importante che ci permette di comprendere le ragioni che hanno portato spesso la psicologia a: fallire d’essere una scienza coerente (Koch, 1969); produrre molta pseudo-conoscenza ed oscillare nell’essere “common sence” – “nonsence” (Evans, 1958; Wright, 1985; Brown & Curtis, 1987; Pepinsky & Jesilow, 1992; Kappeler, Blumberg, and Potter, 2000; Walker, 2005); prestarsi a varie forme d’abuso (Foucault, 1972, 1976, 1978, 1980, 2001, 2005, 2006; Masson J., 1984; Szasz 1960; 1963; 1970; 1971a; 1972; 1974; 1990; 1992; 2003; 2004).

Un insieme di critiche fondato su molti controfattuali. Alcuni sono presi dalla psicologia forense. Una disciplina psicologica, che al contrario di molte altre, si presta ad un esame controfattuale fatto in contradittorio. Cosa che raramente (se non mai) avviene in molte branche della psicologia. Da questo esame, risulta come molti professionisti tendano a ripetere gli stessi errori basandosi: sul senso comune (Wright, 1985; Brown & Curtis, 1987; Pepinsky & Jesilow, 1992; Kappeler, Blumberg, and Potter, 2000; Walker, 2005); e/o common sensenonsence (Evans, 1958).

Questo accade poiché spesso i costrutti sono: formulati in modo non falsificabile; incapaci di passare il test di Validità; enunciati in forma incoerente; sviluppati con ragionamenti dominati dalla fissità funzionale; ed assenti ad un esame e ad una riflessione logico-epistemologica.

Quest’ultima è importante per valutare: da una parte, la qualità del contributo che i costrutti apportano alla Conoscenza, da intendersi come l’insieme delle asserzioni vere (Ferrari, 1996). Dall’altra parte, ridurre l’abuso e/o mis-uso che dei costrutti può essere fatto nella pratica, permettendo una più facile rilevazione quando accade.

Perché in Psicologia c’è una bassa interrogazione logico-epistemologica?

Alcuni potrebbero sorprendersi nel sentire che in Psicologia esiste una bassa interrogazione logico-epistemologica.  In realtà, esaminando la Storia della Scienza, essa è una delle discipline in cui è avvenuto maggiormente.

Da una parte, gli psicologi (eccetto chi si dedica alle neuro-scienze o scienze cognitive) hanno poca familiarità colla Teoria della Scienza e la Logica. Dall’altra parte, questo tipo di riflessione è sempre stata “punita” all’interno d’alcune discipline, che di contro, hanno promosso difese ad oltranza verso Paradigmi ricchi di contraddizioni ed incongruenze.

Un esempio è fornito dalla psicoanalisi. Da Freud in poi, gli psicanalisti hanno sempre rifiutato d’affrontare le debolezze dei loro costrutti e/o ragionamenti, usando la, ed abusando della, “psichiatrizzazione” contro chi osava sostenere idee critiche e/o contrarie alle loro (Jacques Van Rillaer, 1980, 2005d).

Evidenza è data da come gli psicoanalisti risposero ai filosofi della scienza durante il Simposio di New York (1958). Questi ultimi, colpevoli di “lesa maestà”, asserendo la psicoanalisi incapace di rispettare i criteria del Positivismo Logico, ricevettero in risposta una “psichiatrizzazione” della filosofia, ritenuta essere un sintomo di nevrosi ossessiva (Roger Mopney-Kyrle, 1956). Un modus operandi mantenuto nel tempo, più volte denunciato da diversi autori (Jacques Van Rillaer 1980, 2005d; Don Innocenti, 1991; Meyer, 2005).

Ricorrente all’uso dell’agumentum ad personam contro chi osa propone riflessioni critiche verso il paradigma è un modo per estinguere ogni possibile dialogo scientifico e creare modelli di conoscenza basati sulla tirannia dell’ipse dixit. Inoltre, crea climi di “paura” e di ostilità.

L’argumentum ad personam è, infatti, ben diverso dall’argumento ad hominem. Esso è una strategia usata da chi sa: d’avere torto; non poter controbattere l’avversario (Shopenhauer, 1998). Al posto d’usare argumenta ad rem e/o ad hominem e/o ex concessis, … come ultimo escamotage si ricorre ad una campagna diffamatoria contro l’oppositore. Calunniando quest’ultimo, non solo si distrugge l’antagonista ma al contempo si scredita la tesi avversa.

Ora non occorre essere un Comportamentista per comprendere che facendo seguire ad ogni osservazione critica una punizione, si cerca d’estinguere tale attitudine e/o capacità, e/o almeno la manifestazione.

Un silenzio che agevola pratiche disoneste come la fabbricazione dei data al fine di “corroborare” costrutti spesso infondati[2]. Un’attività di falsificazione che, non potendo difendere il proprio operato diversamente da chi la denuncia, ricorre sempre più spesso all’argumentum ad personam. Pratiche che, seppur con intensità minore, sono state dimostrate pure all’interno della Soft Psychology.

Effetti d’una bassa interrogazione logico-epistemologica

Una bassa interrogazione logico-epistemologica conduce allo sviluppo di pseudo-scienza facilmente strumentabile. Non solo, permette di creare costrutti fondati sull’ideologia piuttosto che sul controfattuale. Ciò porta a sviluppare insiemi di teorie incoerenti atte, di volta in volta, a consentire ogni tipo d’inferenza. Le conclusioni assunte da essi sono sempre frutto di scelte di mera opportunità politica e non neutre deduzioni conseguenti la realtà dei fatti!

Un fenomeno che, quando avviene colla psicologia, non è privo di conseguenze. Questo poiché può declinarsi in subdoli strumenti di controllo sociale, attraverso i quali raggirare lo Stato di Diritto e la formalità della Legge. Uno di questi possibili abusi è stato evidenziato in aree quali la psicopatologia e psichiatria (Foucault, 1972, 1976, 1978, 1980, 2001, 2005, 2006; Masson J., 1984; Szasz 1960; 1963; 1970; 1971a; 1972; 1974; 1990; 1992; 2003; 2004).

Abusare di tali costrutti è cosa facile. Questo può avvenire: sia in buona fede; sia in mala fede. Nel primo caso c’è l’azione dell’effetto distorsivo delle lenti interpretative sui, ed usate dai, professionisti (Rosenhan, 1973, 1975)[3]. Nel secondo caso, l’incoerenza, la vaghezza, l’assenza d’una verifica controfattuale e di contradittorio, la mancanza d’una coscienza critico-epistemologica, … rende assai facile poter abusare di questi costrutti.

Esempio pratico di come le diagnosi, seppur fatte in buona fede, seguano non a fatti oggettivi ma all’interesse politico, è fornito dal Tribunale di Salute Mentale Inglese. Questo Tribunale[4] “di prassi” non ha mai dimesso alcuno senza il parere favorevole del Ministero degli Interni (Home Office). In altre parole, era solito decidere conformemente a quanto chiesto dal Ministero e non in quanto emergente dalle evidenze “cliniche”. Guardando alle pubblicazioni, Wilde (1968) evidenziò come le diagnosi cliniche non corrispondevano alle obiettive condizioni dei soggetti ma alle caratteristiche sociali di questi (ricchezza; gruppo etnico; potere sociale; etc…).

Esempi d’usi fatti in mala fede è dato da ciò che accadde in URSS agli oppositori politici. Recentemente è stato anche dimostrato come alcuni Paesi (e.g.: USA; UK) usassero la psicopatologia per “colpire” chi indagava fenomeni ufologici. Ciò è emerso da molte testimonianze e da molti documenti ufficiali[5] . Altri casi sono emersi all’interno di grandi aziende durante gli anni di crisi finanziaria. Alcuni ragionieri / revisori che scoprirono falsificazioni nei bilanci, dopo aver mostrato d’essere restii ad avvallarle, furono allontanati e discreditati usando proprio la psicopatologia come forma di violenza sociale. Nulla di più utile, non solo grazie ad essa è possibile allontanare la persona raggirando ogni limite e le garanzia di legge, ma si rende pure questa non credibile.

Questo è possibile poiché ricade in uno strumento malleabile, non basato su fatti oggettivi, controfattuali, ma, di contro, su mere interpretazioni retrospettive attraverso le quali tutto viene: selezionato; modificato; riletto; interpretato; … al fine di poter sostenere, e/o farlo combaciare, ad un costrutto. Un’attività fatta per sostenere ed asservire particolari interessi pro tempore, creando storie verosimili colle quali si controlla l’ambiente sociale.

Non solo, molte reazioni usate ex post per giustificare le stesse diagnosi cliniche, conseguono solo alle diagnosi fatte come naturale risposta alla violenza sociale e fisica ricevuta.

Chi diventa oggetto di diagnosi (anche se infondata) cade in una spirale viziosa, come quella descritta dalla labeling theory, che presto o tardi, conduce il soggetto ad accettare il ruolo che gli è imposto.

La credenza creata, infatti, crea uno stato di disinformazione che guida ogni successiva interpretazione, fatta da un qualsiasi altro soggetto (anche se professionista), tendente a corroborare l’informazione assunta. Questo è un fatto ampiamente provato. Per istanza, riporto un esperimento avvenuto al Mental Research Institute di Palo Alto dove due eminenti clinici (di cui uno fu Jackson, fondatore e primo direttore dell’Istituto) divennero oggetto d’osservazione sugli effetti creati proprio da uno stato di informazione come quello detto supra. Ad ogni clinico fu detto d’incontrare un paziente paranoide che si credeva psicologo clinico. Durante la seduta, il comportamento perfettamente adeguato e normale di entrambi, fu continuamente letto ed interpretato come prova dello stato psicotico della persona che avevano dinanzi.

Famosi, poi, sono i due esperimenti fatti da Rosenhan (1973;1975) che dimostrano, in particolare il primo, come soggetti perfettamente normali una volta definiti “malati di mente”, siano ritenuti da tutti i professionisti del settore come tali. Tutti i professionisti iniziano a leggere ed interpretare i comportamenti perfettamente normali dei soggetti come confermanti dello stato patologico attribuitogli. Gli unici che si accorgevano della loro sanità furono i “malati”.

Questo accade facilmente, quando non fatto in malafede, per due fattori: la fissità funzionale dei soggetti volta a convalidare i costrutti, le ipotesi, le informazioni di partenza; una bassa consapevolezza ed interrogazione critico-epistemologica verso i costrutti impiegati (spesso assunti ad ideologia).

Un esempio di fissità funzionale ed assente coscienza critico-epistemologica nel ragionamento psicologico

Un esempio pratico di come questo mix di fissità funzionale e bassa riflessione epistemologica opera, può essere fornito dall’analisi del costrutto della personalità antisociale e psicopatia.

Questo costrutto nacque con Pinel agli inizi del 1800. Fu chiamato manie sans delire. Suo obiettivo era spiegare il comportamento d’alcuni soggetti: violenti e pericolosi; dediti all’attività criminosa; privi di scrupoli e di freni morali; propensi ad uccidere il prossimo. Ben presto questo costrutto s’allontano dall’oggettività dei fatti (l’attività criminosa; la pericolosità sociale; l’indole violenta). Esso fu ribattezzato: moral derangement (Rush, 1812); moral insany (Pritchard, 1835); … e finì coll’inglobare chiunque, semplicemente, agisse differentemente dagli altri. Un costrutto vago che si declinò subito ad ampi abusi. Una prima critica fu fatta da Ordronaux (1873). Egli rilevò come questo costrutto fosse un tentativo di far passare per scienza, antiche idee superstiziose.

Sebbene Millon (1981) affermi che l’antica nozione di moral insanity, oggigiorno, ha poco a che fare coll’attuale costrutto di psicopatia e di personalità antisociale, egli ha ragione solo in parte. Infatti, ciò potrebbe essere vero se e solo se si confronta: col DSM-IV-R; ed alcune Leggi Nazionali quali English Mental Health Acts 1983. Questi richiedono prova d’un’oggettiva attività criminale per la diagnosi. Milton, di contro, ha torto se lo si confronta coll’attuale costrutto come usato e sviluppato dai clinici nella pratica e nella letteratura. Esso è staccato dall’oggettività: dei fatti; e del comportamento criminale. Ricade ad un insieme di meri tratti di personalità, tornando ad essere un costrutto: incongruente; contradittorio; infalsificabile; prestabile a qualsiasi mis-uso ed abuso. Non a caso esso originò due figure antitetiche: lo psicopatico criminale; e lo psicopatico non criminale.

Mentre i primi sono soggetti dediti ad attività violente e criminose; i secondi sono soggetti normali, pro-sociali, ben integrati.  Questo mostra l’impossibilità del costrutto a prestarsi a falsificazione e controllo attraverso l’analisi dei controfattuali. Una volta fatta la diagnosi, qualunque sia il comportamento agito dal soggetto, questo è interpretato come manifestazione dello stato psicopatologico attribuito. Per tali motivi, alcuni ricercatori assunsero posizioni critiche, attualizzando ciò che disse Ordronaux. Essi definirono questo costrutto: teoricamente insoddisfacente, praticamente sviante, dannoso al pensiero scientifico (Kinberg, 1946); un mito, una entità inesistete (Karpman, 1948); un intrigante racconto confuso ed inconsistente (Hill, Murray and Thorley, 1986); privo di prove scientifiche e d’utilità clinica, una entità mitica, un giudizio morale mascherato da diagnosi clinica (Blackburn, 1988); un moralismo camuffato da scienza medica (Calvaldino, 1998).

Così alla fine Kanner ebbe ragione nel dire: uno psicopatico è qualcuno che non ti piace.

Notate bene: non nego che nel Mondo esistano crimini e criminali. Ritengo che questi debbano essere puniti. Ciò che critico, di contro, è come alcuni costrutti sono usati per dar luogo a nuove “caccie alle streghe” a là Maleus Maleficarum[6].

Prova è data dalla necessità di intervenire legislativamente[7] per limitare il loro uso.

Nonostante ciò, i clinici incuranti della legge, continuarono ad estendere l’applicabilità del costrutto facendovi ricadere sempre più soggetti dediti ad attività pro sociali[8].

Ciò portò alla creazione d’un costrutto molto contradittorio e non omogeneo. Alcuni, scissero il paradigma in due: quello della personalità antisociale (legato a fatti oggettivi); quello della psicopatia (legato a meri tratti di personalità). Altri, lo ritennero un costrutto unico, all’interno del quale, le due figure dette rappresentano due diversi gradi patologici.

Coll’aumento delle scale diagnostiche, aumentarono anche le contradizioni fra le diagnosi. Spesso quest’ultime, nella pratica professionale, sono prese su mere “sensazioni” che il professionista ha al momento, senza usare alcuna Scala.  Un fenomeno dimostrato durante le udienze (hearings) avvenute presso il Tribunale di Salute Mentale Inglese. Nel controesame emergeva chiaramente che le diagnosi non seguirono alcun criterium diagnostico (DSM; e/o altre Scale) ma furono prese … su quella che elegantemente fu definita … mera “esperienza clinica”.

Non di rado accade che, solo ex post attraverso l’interpretazione è sussunta una certa corrispondenza tra la fattispecie fattuale e la fattispecie teorica del costrutto di riferimento, forzando queste ad un riscontro.

Chi scrive, ritiene questo costrutto essere un esempio utile per comprendere come opera: la fissità funzionale; l’assenza d’una consapevolezza critico-epistemologica; l’azione autoconvalidante prodotta dagli stessi costrutti psicologici attraverso un’interpretazione deformante della Realtà.

Un interessante esempio è dato da Lilienfeld (1994) che arrivò a sostenere una struttura logica incoerente: P E NON P.

L’autore trovò una correlazione positiva tra soggetti diagnosticati psicopatici / antisociali (colle attuali scale di riferimento) e la frequenza di atti altruistici (comportamento pro-sociale). Al posto d’inferire un’incoerenza interna al costrutto, egli concluse che bisognava incorporare come item diagnostica per il comportamento antisociale, il comportamento altruistico ed eroico. In assenza di questa item, un sostanziale sottogruppo di psicopatici sarebbe risultato un falso-negativo (!). In altre parole, l’autore suggerì come criterium diagnostico per il comportamento antisociale, il comportamento pro-sociale (!) esplicitando un ragionamento incoerente ed illogico riassumibile colla formula: P E NON P.

Questo è un caso paradigmatico, ma non raro, dell’effetto d’un’assente interrogazione logico-epistemologica e d’un ragionamento dominato da fissità funzionale.

Critiche epistemologiche e tendenza auto conservante del Paradigma

Tra coloro c’ebbero il coraggio di criticare lo status epistemologico delle Scienze Psicologiche c’è stato Meehl (1973a; 1973b; 1978; 1990a; 1990b; 1991; 1997a; 1997b). Altri, focalizzarono, di contro, la loro attenzione su particolari questioni inerenti: la psichiatria; la psicopatologia; e la psicanalisi. Quest’ultime riflessioni, però, andarono oltre gli aspetti epistemologici, finendo negli abusi attuati attraverso queste discipline.

La tendenza a conservare il Paradigma difronte all’incoerenza è sempre stata presente in Psicologia. Benso (2013) lo dimostrò parlando della modularità di Fodor. L’autore mostrò come dagli anni ’80 fosse rimasta la tendenza a trattare la modularità, anche complessa, con un taglio fodoriano, sebbene l’ipotesi che considerava incapsulati i moduli complessi fu ampiamente confutata.

Kuhn (1962; 1970) osservò che dinanzi alle contradizioni, l’establishment tende: ad arroccarsi in un blind commitment; a salvare i costrutti formulando d’una molteplicità d’auxiliary assumptions. Una pratica che, paradossalmente, alla fine incrementa le incongruenze. Pochi sono i rebels che tentano d’avanzare nuove ipotesi coraggiose, … cercando di dar vita ad una scientific revolution… . Questo accade per due motivi: i problemi sociali che comporta il mostrare[9] genialità; la fissità funzionale creata dall’habitus.

Problemi sociali legati alla genialità

 L’establishment a capo d’una Comunità di Discorso è poco propensa ad accettare i mutamenti. Questo poiché, ogni nuova distribuzione di potere si ripercuote sulla definizione di verità (Lyotard, 1983) ed, allo stesso modo, ogni nuova definizione di verità si ripercuote sulla distribuzione di potere nella Comunità.

Ciò ha portato nella Storia all’uso di varie forme di violenza contro chi manifestasse genialità (Eysenck, 1995). L’autore riportò come molto spesso chi sostiene idee nuove rispetto l’esistente Paradigma, indipendentemente se ciò avviene in un contesto scientifico o politico, diventa oggetto di persecuzione da parte dell’Autorità esistente[10].

Questo, come gli argumenta ad personam visti supra, conduce all’estinzione di ogni partecipazione critica utile all’evoluzione ed al miglioramento del paradigma, spingendo validi soggetti ad optare per un più tranquillo “menefreghismo”[11].

Tali attacchi verso chi ha proposto idee nuove sono stati sempre una costante nella Storia dell’Umanità. Onnipresente fu la tendenza sociale ad imprigionare e maltrattare i “grandi uomini” ad ogni opportunità (Ellis, 1927; Rhodes 1932; Eysenck, 1995; Oleson, 1998). La brillantezza e curiosità mentale, porta a produrre mutamenti nel paradigma e nei rapporti di forza all’interno della società. Questo è sufficiente per “punire” il genio mentre vive anche qualora la legge non lo permetta (Rhodes, 1932). Il classico esempio è Socrate. Mostrando pensiero “originale”, fu definito l’uomo più pericolo d’Atene (Lindsay, 1918) e per ciò fu: accusato di corrompere i giovani e di introdurre nuovi dei; condannato e giustiziato su irrilevanti ed infondati rumori.

Questo poiché alla fine: il Potere è la capacità ed il diritto di far prevalere la propria definizione di Realtà sopra le altre (Dorothy Rowe; Masson, 1990).

Problemi cognitivi legati alla fissità funzionale

Se alcuni tacciono non trovando allettante finire vittima di violenza sociale; altri lo fanno poiché non riescono ad uscire dall’Habitus fornitogli da una data Scuola.

Questi ultimi sono prigionieri d’un fenomeno cognitivo chiamato fissità funzionale.

Secondo Kuhn (1962), infatti, vi sono due tipi di scoperte: una fattibile da ogni individuo, acquisita la forma mentis d’una scuola; ed un’altra possibile solo ad alcuni Spiriti Liberi, capaci di strapparsi l’habitus impostogli e diventare (usando un termine giapponese) muje[12].

Rimanendo prigionieri all’interno della forma mentis d’una data scuola si possono solo incrementare le conoscenze dell’esistente Paradigma. Diventando rebels si possono creare teorie alternative all’esistente Paradigma, ed affrontare: il nuovo; l’inconsueto; l’inesplorato.

Questo ha a che fare colle due modalità di problem solving descritte dalla Gelstalt. La prima è quella usata da chi procede logaritmicamente (ovvero “passo dopo passo”), applicando schema appresi e risolvendo problemi noti. La seconda è quella usata da chi giunge alla soluzione attraverso un’intuizione. Una capacità innata che permette ad un soggetto di trascendere i limiti del paradigma appreso e, ponendosi al di fuori d’esso,  risolvere il problema in modo nuovo.

Chi eccelle nel primo tipo di problem solving è chi più sé omologato al paradigma esistente. Costui, però, col tempo sviluppa una forma mentis dominata dalla fissità funzionale: la tendenza ad usare oggetti e concetti sempre nello stesso modo (Purves et al. 2010). L’esempio riportato supra di Lilienfeld (1994) può essere visto come effetto di questa fissità funzionale.

Il rebels, di contro, non sono prigionieri della fissità funzionale. Uscendo dal Paradigma possono: vedere quest’ultimo nella sua oggettività; criticarlo; rivoluzionarlo; e trovare soluzioni al Nuovo ed Inconsueto.

Purtroppo questo tipo di pensiero libero è ostacolato.  Alcuni hanno parlato di pratiche menticide (mentis + caedere). Altri hanno criticato il sistema educato: Bourdieu; e Illinch.

Bourdieu rilevò come il sistema scolastico, col mis-conoscimento e la violenza simbolica, svolge appunto una funzione riproduttiva delle forme simboliche del potere per legittimare i rapporti di forza e di sfruttamento esistenti nell’ordine sociale a quo.

Illich accusa, invece, il sistema scolastico d’inculcare nell’habitus delle persone il consumo passivo: la tendenza ad accettazione acriticamente l’ordine sociale esistente coi suoi rapporti di forza. Un’azione attuata attraverso un programma occulto, costituito dall’insieme: delle procedure scolastiche; dell’organizzazione; dei meccanismi di valutazione; etc… . Attraverso questo: si premia e rinforza chi si omologa all’ordine esistente; si sanziona chi mostra pensiero divergente ad esso.

In altre parole, l’attuale sistema educativo fa di tutto per creare fissità funzionale, un fenomeno che però è pericolo e disadattivo. Non a caso, Alexandre Dumas affermò: “How is it that little children are so intelligent and men so stupid? It must be education that does it.”

Educare le persone ad avere pensiero divergente, non sanzionando chi lo mostra, è socialmente necessario. Questo poiché la creazione di nuove ipotesi presenta sempre probabilità zero rispetto all’esistente Paradigma, non potendo essere formulate per induzione (Popper, 1996). Il nuovo è sempre improbabile, non trovandosi nelle “tasche” dell’habitus indossato.

La riflessione epistemologica è l’unico strumento esistente per: sviluppare e mantenere buone capacità critiche; evitare di cadere nella fissità funzionale.

“Saprai se dico il vero. Io non uso

Parlare a vuoto, per fare piacere”

Oceano in Eschilo, Prometeo Incatenato

De Scientia et Methodo Psicologiae

Un insieme di discipline eterogene per Status epistemologico

La prima osservazione da fare è che la Psicologia è composta da un insieme di discipline eterogenee per status epistemologico.

Psicologia Fisiologica, Cognitiva e Sperimentale

La Psicologia Fisiologica, Cognitiva e Sperimentale hanno piena “cittadinanza” nel Paradigma Scientifico. Questo poiché riescono ad applicare il metodo delle scienze naturali.

Soft Psychology

La Soft Psychology[13], di contro, ricade spesso nell’essere un “limbo”: d’ambiguità; di confusione; d’indeterminatezza .

Essa comprende un’eterogeneità di discipline per: oggetto di studio; valore epistemologico. Ciò che hanno in comune è: l’incapacità a sodisfare i criteria delle scienze naturali e del positivismo logico; il tentativo di rispettare il principio di falsificazione (sebbene spesso, come visto supra, ciò non avviene). Lo status epistemologico individuale di queste discipline varia in conformità a come riescono a soddisfare tali criteria. La psicologia sociale, di comunità e dell’educazione, presentano la tendenza a status epistemologici maggiori rispetto la clinica, psicopatologia e counselling.

La debolezza dei costrutti della soft psychology, rende questi ultimi declinabili verso gli abusi indicati supra. Questi ultimi, conformemente a Foucault, possono: condizionare, distorcere, la percezione della realtà; definire cosa sia normale/anormale, sano/patologico, conforme/ deviante; introdurre scelte normative-politiche sotto la maschera di neutra scienza; sorvegliare e controllare; impedire il libero proliferare dei discorsi; naturalizzare e legittimare l’uso della coercizione contro chi non si omologa; esercitare parte del potere disciplinare.

Come è possibile ciò?

Innanzi tutto è da precisare che in psicologia le relazioni fra variabili possono essere osservate in due modi: in termini di causazione (esperimento); in termini di correlazione e/o co-variazione. Mentre la causazione può essere studiata solo in Psicologia Fisiologica e Sperimentale, raramente trova spazio nella Soft Psychology. La maggior parte dei costrutti di questa si basa su correlazioni.

Quest’ultima si presta a facili manipolazioni, non potendo prescindere da scelte politiche (usando quest’accezione nel senso più ampio possibile).

Conformemente a Meehl (1990a) il test d’Ipotesi Nulla è soggetto all’influenza di dieci fattori di bias i cui effetti sono solitamente: sizeable; opposed; variable; unknown[14].

Mentre è possibile ridurre il problema dell’inadeguato potere statistico applicando al campione un potere di 0.9 o superiore[15], di contro, non è possibile agire sul crud factor. Questo poiché nelle scienze sociali tutto, in qualche modo, correla col tutto (Meehl, 1990a, 1990b). Il crud factor è appunto questo.

Quindi: da una parte, l’accettazione o il rifiuto dell’Ipotesi Nulla dipende esclusivamente dal potere statistico usato (Meehl P. 1990b); dall’altra parte, i “confini” e “l’estensione” dei costrutti ricade sempre in una scelta politica. E’ quest’ultima a determinare il tipo di correlazioni da associare e ricercare per definire il costrutto all’interno d’uno scenario nel quale tutto correla col tutto.

Il problema del crud factor non è risolvibile colla statistica ma solo: colla riflessione epistemologica; e secondo Meehl (1997a) coll’uso d’un indice di corroborazione C*.

Una bassa coscienza critico-epistemologica spingere gli psicologi in balia: della fissità funzionale; e d’un insieme di interpretazioni deformanti la Realtà per effetto delle lenti indossate come descritto, e.g., dalla teoria della riflessività  (Clifford e George, 1986).

Calati all’interno d’una prospettiva situata, costituita dai costrutti e dal Paradigma d’una propria Comunità di Discorso, la Realtà non è più vista per quello che è ma per quello che dovrebbe essere conformemente alla visione assunta in partenza.

La scelta delle variabili da correlare; il come interpretarle … consegue a questo.

Psicopatologia e Violazione della Legge di Hume

Altro problema rispetto il crud factor è costituito dalla violazione della legge di Hume[16] fatta dalla Psicopatologia.

La legge di Hume è un importante criterium di demarcazione tra ciò che è empirico e ciò che non lo è. Violarla significa attraversare un confine “dimensionale” tra il “regno” della Logica Formale e quello della Logica dei Valori. Mentre nel “primo regno” le asserzioni possono essere valutate in termini di vero o falso ed il ragionamento in termini di valido o invalido, nel “secondo regno” non è possibile. All’interno della dimensione normativa, tutto diventa mera “opportunità politica”, un “gioco di retorica”, una scelta arbitraria. La Logica dei Valori, o Nuova Retorica a là Perelman, non consente alcun controllo sulla validità o verità di ciò che è sostenuto. Semplicemente, come facevano i Sofisti, serve per argomentare in modo “razionale” le scelte prese antecedentemente su motivi d’opportunità, e/o interesse politico.

La Psicopatologia viola la Legge di Hume passando continuamente dal descrittivo (e.g. una normale distribuzione) al normativo (e.g. definire cosa è: normale; ed anormale). La “malattia mentale” è nulla di più dal deviare: dalla maggioranza; dal Pensiero Unico; dalle “norme” arbitrariamente imposte dall’egemonia pro tempore. Non a caso fu tacciata di finir spesso nell’essere uno strumento di controllo sociale, d’omologazione, attraverso il quale imporre comandi camuffanti, dietro forme grammaticali fuorvianti, in enunciati dall’apparenza neutri e scientifici.

Tale violazione priva l’intera disciplina d’empiricità, escludendola dal novero delle scienze empire. Di contro, la rilega nel novero delle discipline normative alla stessa stregua dell’etica e del diritto.

Sarebbe intellettualmente onesto riconoscere la dimensione politica di tali scelte.

 Psicoanalisi

La Psicoanalisi, in fine, è ritenuta da molti estranea al Paradigma Scientifico ed alla Psicologia. Quest’ultima non riesce a soddisfare neppure i criteria della Soft Psychology. Essa sarebbe vista, di contro, come una disciplina umanistica allo stessa stregua della letteratura. Ciò ha portato alcune Università ad escluderla dai curricula in Psicologia, altre a trasferirla all’interno della “facoltà di lettere”.

Alcuni autori sottolineano pure l’incapacità d’essere una forma psicoterapeutica e/o di cura valida (Crews, 2005b).

La maggior parte della teorie psicoanalitiche sono: non-falsificabili; fondate sul mero ipse dixit. Ciò le associa ai dogmi propri d’un’ideologia settaria[17].

Esse sono incapaci di: rispettare il test di Validità (Positivismo Logico); rendersi falsificabili (Popper); soddisfare i criteria richiesti da Lakantos (sviluppare un programma di ricerca progressiva capace di condurre alla scoperta di nuovi fatti non precedentemente conosciuti).

L’unico metodo d’acquisizione della conoscenza è quello dell’Autorità[18]. Ogni scuola, così, radicata nella propria ideologia, accusa chi la pensa diversamente di mancare d’insight (interrogazione soggettiva)[19].

Nessuna scuola rinuncia alle proprie ideologie. Nessuna teoria psicoanalitica è falsificabile; nessuna è corroborabile; tutte semplicemente coesistono e sopravvivono in un perenne limbo, dal quale, all’occorrenza sono pescate per sostenere tutto e l’opposto di tutto.

In una situazione come questa, la psicanalisi ricade nell’essere mera deriva semiotica espressa dall’insieme d’interpretazioni retrospettive, e re-interpretazioni delle interpretazioni, attraverso le quali la REALTA’ è fatta combaciare all’ideologia assunta. Ciò avviene: selezionando arbitrariamente le informazioni; minimizzando alcuni fatti; ingigantendone altri; fraintendendo alcuni eventi; omettendo in toto di considerarne tutto ciò che contradice l’interpretazione (o visione) voluta.

Per questi motivi, la maggior parte delle Università Anglo-Americane (ed Australiane) hanno deciso di non inserire la psicoanalisi nei piani di studio in psicologia, scienze del comportamento e criminologia (B.A.; B.Sc.; B.Scial.Sc.; B.Psych.). Nonostante le raccomandazioni di Brown (1965) d’introdurla come parte della preparazione base per uno psicologo, pochi sono i Paesi in cui ciò è avvenuto.

Uno di questi è Italia. I corsi di psicologia dinamica sono presenti all’interno dei curricula dei corsi di laurea in discipline psicologiche. La psicopatologia, la clinica e la psicanalisi, sono spesso trattate assieme e sovrapposte dove i clinici sono anche psicoanalisti.

Di contro, in Australia le teorie psicoanalitiche sono state escluse dai curricula degli MPsych e DPsych in psicologia clinica in quanto non scientifiche. Molte Università, hanno pure mutato i nomi dei corsi di laurea in Scienze del Comportamento (Behavioural Sciences) per sottolineare l’approccio scientifico contro quello psicoanalitico.

E’ ironico come la meta-psicologia di Freud, evoluta dal Project (1887 –1902) coll’obiettivo di far prendere alla psicologia il suo posto fra le scienze naturali, sia diventata il suo maggiore ostacolo.

Una summa del dibattito storico

Le critiche verso l’a-scientificità della psicanalisi iniziarono col Convegno di New York del 1958. Filosofi della scienza come Ernest Nagel, Hook, dimostrarono come la psicanalisi fallisse nel rispettare i principia del positivismo logico[20].

A queste critiche, col tempo, s’aggiunsero (di volta in volta) quelle inerenti la violazione dei criteria epistemologi che si susseguirono nel tempo (Popper; Lakantos).

Gli psicoanalisti hanno tentato di replicare sostenendo che: la psicanalisi poteva rispettare i criteria delle Scienze Naturali (Bowlby, 1989; Pribram, 1989; Laplanche, 1989); la psicanalisi era in grado di rispettare il metodo delle scienze biologiche poiché meno rigoroso rispetto quello della Fisica (Bowlby; Pantin, 1968); lo psychoanalytic framework era compatibile colla biologia evolutiva e neurofisiologia (Bowlby). Tutte queste argomentazioni furono facilmente falsificate.

Non solo, furono anche sostenute incoerentemente. Lo stesso Bowlby (1989) rigettò il principio di falsificazione come criterium in quanto esistevano epistemologi che presentarono teorie diverse. Uno di questi fu Feyerabend (1970) che sostenne la teoria dell’anarchica della conoscenza. Un’argomentazione che al posto di difendere lo status epistemologico della psicanalisi, equiparò quest’ultimo a quello d’una novella fantasy.

Altri autori sostennero la psicanalisi essere una nuova scienza umana basata sull’autoriflessione (Habermas, 1968). Tesi replicata da Grunbaum (1979a, 1979b, 1982, 1984, 1988).

Un recente dibattito è stato lo scambio avvenuto fra Norman Holland (2004) e Frederick Crews (2005a).

Holland sostenne che soggetti obesi ed alcolizzati hanno risposte orali più alte nel test di Rorschach[21]. In realtà, i research findings non forniscono alcuna evidenza empirica della tesi argomentata da Holland poiché il test di Rorschach: ha bassa reliability e validity (Murphy and Davidshofer, 2001; Hunsley and Bailey, 1999; Groth Marnat, 2003); può essere facilmente “biased” (Hersen and Greaves, 1971). Non solo, Groth Marnat (2003) ha osservato come il Rorschach non ha alcuna “empirical validity” cadendo all’interno d’un mero “consensus validity” ovvero di quell’ipse dixit detto. Non solo, parlare di “consensus validity” per il Roschach è pure un non senso giacché non c’è consenso sul “method of scoring” tra gli psicologi (esistendone diversi)!

La psicanalisi non è mai riuscita a creare un sistema che non fosse incoerente. Questo la fece definire una “teoria zero”(Borch-Jacobsen, 2005e), una nebulosa senza consistenza, un paradigma da rifiutare (Buekens, 2005)[22].

Pure la Chiesa Cattolica assunse una posizione critica verso la Psicanalisi rilevando come questa poteva creare: minorazioni e condizionamenti di personalità, abusando del contesto di “fragilità” in cui si trova la persona. La Chiesa ribadì: la dimensione di mistero, di profondità, di spiritualità, della Natura Umana; l’inviolabilità dell’intimità dell’Uomo; la necessità d’un consenso effettivamente libero . Paolo VI sostenne come la psicanalisi fosse incapace di produrre studi coerenti, convalidati, integrati alla scienza dei cuori ed alla dimensione spirituale. Egli invitò i cattolici a recarsi dal confessore per avere un dialogo costruttivo sui problemi dell’anima piuttosto che dallo psicanalista (Avvenire, 8/11/1973). Il rapporto tra la Chiesa Cattolica e la Psicanalisi fu affrontato da Don Innocenti (1968; 1969a; 1969b; 1970a; 1970b; 1970c; 1970d; 1973; 1974; 1979; 1991; 2010).

Alcuni Esempi d’Incoerenze

Le incoerenze si sviluppano su tre livelli: quelle esistenti tra le diverse scuole e teorie psicoanalitiche; quelle esistenti fra la psicanalisi e le teorie delle altre discipline psicologiche; e quelle esistenti fra la psicanalisi ed il Paradigma Scientifico.

Il primo tipo d’incoerenze è ben conosciuto e concerne le visioni opposte esistenti fra le diverse scuole (si pensi alle forti divergenze tra Freud, Jung, Adler, etc…). Il secondo tipo d’incoerenze verte sul contrasto fra le teorie psicoanalitiche e quelle delle alte branche della Psicologia. Si pensi all’incompatibilità fra psicanalisi e: Funzionalismo; Comportamentismo (Skinner, 1953, 1965); Psicologia Fisiologica (J. Hallandsworth, 1990); etc… . Il terzo tipo d’incoerenza è dato dall’incapacità della psicanalisi di soddisfare il Metodo Scientifico che si è sviluppato nel tempo (passando attraverso le fasi di: Razionalismo; Empiricismo; Criticismo Kantiano; Positivismo; Positivismo Logico; evoluzionismo Popperiano).

L’attuale metodo scientifico è un ibrido fra Positivismo Logico ed Evoluzionismo Popperiano. Il Positivismo Logico pone come criterium di demarcazione fra ciò che è scienza e ciò che non lo è il test di Validità. Una Teoria è vera, solo e solo se è verificabile. Una teoria è verificabile se è in grado di predire un avvenimento futuro date determinate condizioni iniziali. Questo criterium è soddisfatto dalle Scienze Naturali. Per istanza, l’ipotesi, Cloro + Sodio = Sale, può essere verificata osservando che nella Realtà otteniamo il controfattuale Sale, ogni volta abbiamo la condizione iniziale, Cloro + Sodio.

Di contro, Popper presenta un metodo meno “rigoroso” utile alle Scienze Sociali incapaci di soddisfare il test di validità.  Egli sostiene che, non potendo scoprire la Veritas, l’uomo può formulare teorie che s’avvicinano ad essa per gradi di approssimazione. All’interno di questa visione, Popper risolve il problema di demarcazione col principio di falsificazione.

La psicoanalisi fallisce il test di validità ed il principio di falsificazione.

Ad esempio alcune teorie psicoanalitiche legano il comportamento criminale: sia ad un povero attaccamento; sia ad un buon attaccamento (Aichhorn, 1925). Questo crea: da una parte, una teoria non falsificabile; dall’altra parte, una teoria incapace di predire alcunché. Qualunque sia la condizione iniziale, è prevista sempre la stessa conclusione: comportamento criminale! Ciò: la rende inutile nel fare previsioni; e dimostra il suo fallimento nel test di validità poiché non tutti siamo dei criminali!

Queste teorie non rispettano neppure il principio di falsificazione come affermato da Lakatos (1970) che accusò gli psicoanalisti d’esse intellualmente disonesti proprio poiché non formulavano le loro teorie in modo falsificabile, così da renderle inconfutabili, prive delle condizioni necessarie per un loro rifiuto.

Ciò fa credere che le teorie psicoanalitiche sino basate su mere interpretazioni retrospettive a là Weick (1995; 1997). Attraverso queste, grazie all’incoerenza dei costrutti, è sempre possibile costruire, risistemare, selezionare e distruggere parte degli elementi oggettivi della storia della persona e dell’ambiente circostante per “ri-creare” a piacimento il “senso” arbitrariamente voluto.

Tutto ciò è reso evidente osservando la natura degli enunciati psicoanalitici. Essi non sono enunciati descrittivi, neppure enunciati normativi (come quelli della psicopatologia). Essi sono enunciati metafisici/espressivi al pari di quelli della poesia. Un linguaggio che non è né vero né falso. Un linguaggio che: non asserisce niente; non può essere provato o confutato.

La questione del Determinismo e del Libero Arbitrio

Lo status Scientifico delle Scienze Psicologiche dipende anche dalla questione inerente il Libero Arbitrio ed il Determinismo.

Quando si parla di Libero Arbitrio, la letteratura presenta molte varianti. Secondo Thorp (1980) bisogna distinguere tra: Libertà della Spontaneità e Libertà dell’Indifferenza. La prima si riferisce alla capacità d’un agente di poter esprime la sua vera natura. In questo caso, potrebbe scegliere ciò che realmente vuole, senza ricevere interferenze, limitazioni, dal contesto. La seconda si riferisce alla capacità d’un agente di poter compiere una scelta all’interno d’un numero limitato di scelte possibili. In questo caso, dovrebbe essere sempre possibile rispondere affermativamente alla domanda: si sarebbe potuto fare diversamente?.

Altra distinzione riguarda un’eventuale Libertà Assoluta o Scalare. In altre parole se esista un “puro” Libero Arbitrio e/o Determinismo, oppure se esistano realtà ibride fra i due. In quest’ultimo caso, ci s’interroga come possa essere il limbo di coesistenza fra di essi. Un limbo che, a mio avviso, potrebbe essere rappresentabile attraverso i punti d’un ramo d’iperbole in un grafico cartesiano.

Altra distinzione è fra: una Completa o Incompleta Libertà.  L’accento, qui, è spostato sul numero “teorico” delle alternative possibili entro le quali può essere presa una decisione. Il concetto è diverso da quello espresso con Libertà di Spontaneità e Libertà di Indifferenza. Una Libertà Incompleta potrebbe esistere sia con, o senza, Libertà di Indifferenza. Un esempio di Libertà Incompleta con Libertà di Indifferenza è qualora Tizio possa sceglierne liberamente nell’insieme costituito da tutte le Università e Corsi di Studi esistenti nel Mercato. Qualora, di contro, la scelta sia limitata da altri fattori (e.g. le risorse economiche) abbiamo una Libertà Incompleta senza Libertà di Indifferenza. In quest’ultimo caso, non si può rispondere affermativamente alla domanda: “si sarebbe potuto fare diversamente?”.

SE alla Scienza è richiesto fornire leggi capaci di descrivere regolarità tra phenomena (McBurney, 2001; Pedon & Gnisci, 2004; Zappalà, 2007; Chiorri, 2009) ALLORA la Psicologia è Scienza se descrivere tali regolarità. Questo è possibile, SOLO E SOLO SE il comportamento umano e l’attività mentale sono governati dal determinismo. Diversamente, in presenza di libero arbitrio, la Psicologia ricadrebbe nell’essere nulla più d’un senso comune / non-senso come detto supra.

Durante lo sviluppo storico della Psicologia (Viney W. & King D. B. 2003): alcuni autori hanno parteggiato per il determinismo (Psicanalisti e Comportamentisti, e.g. Freud; Watson; Pavlov; Skinner); altri per il libero Arbitrio (James; Jung; Mallow; Rogers). Oggi, il dibattito è ancora aperto e non presenta alcuna soluzione condivisa (Thorp, 1980; Dennett, 1984; Rychlak, 1988; Rychlack & Rychlak, 1990; Viney, 1990;). Esso è particolarmente legato, non allo status epistemologico della psicologia, ma agli effetti pratici e legali in thema di responsabilità penale.

Uno degli argomenti chiave, infatti, a sostengono del libero arbitrio è: l’argomento etico. Esso pone il problema che deriva nell’accettare il determinismo: nullificare la responsabilità personale. Non solo la responsabilità personale, aggiungerei, ma il concetto stesso di responsabilità.

Infatti, se ogni evento è già determinato nell’atto della Creazione a là Laplace (1820), ed in quanto tale prevedibile da Chi possedendo un Occhio Divino è capace di seguire l’intero concatenarsi d’ogni causazione dal Big Bang in poi, non esisterebbe (non solo spazio al libero arbitrio ma) neppure ad una eventuale responsabilità personale e/o sociale.

Gli altri argumenta a favore del Libero Arbitrio, conformerete a Viney e King (2003) sono:

  1. l’assenza d’una buona corrispondenza tra l’idea di determinismo e l’esperienza percepita (nella quale è avvertita una certa libera scelta). Un argomento debole, potendo essere tale sensazione un’illusione (Dennett, 1984);
  2. la contradizione logica di chi credere nel determinismo. Questo poiché non è possibile poter affermare di credere nel determinismo, in quanto il credere implica una certa scelta. Se esiste il determinismo, non si può scegliere di credere in esso, essendovi determinati. Un argomento debole, riducendosi ad un “gioco” di semiotica sul cosa significa credere;
  3. la teoria del Caos ed il principio di indeterminazione secondo i quali il Mondo non sarebbe già determinato ma è un “qualcosa” che può assumere aspetti diversi in termini di probabilità La Storia, non sarebbe così conseguenza d’una catena di causa ed effetto iniziata col Big Bang (Laplace, 1820) ma il risultato d’un gioco di Contingenze e di Imprevisti (Fisher, 1936). Di contro, potrebbe essere vero che, il Caos imprevedibile creato da un battito di farfalla, è tale solo perché l’uomo non può calcolare una funzione capace di quantificare tutti gli eventi e le concatenazioni di causazione esistenti. Qualora fosse in grado di computare una funzione universale, capace di seguire tutte le catene di causazione, incluse quelle inerenti lo spostamento di particelle causato da un battito d’ali di farfalla, tutto ritornerebbe prevedibile, ricadendo nel determinismo.

Gli argomenti a sostegno del determinismo, di contro, provengono:

  1. dalle conoscenze neurologiche. Queste, svelando i meccanismi fisiologici del pensiero, hanno supportato il neurophysiological determinism;
  2. dalla ragionevole aspettativa secondo la quale gli eventi non sarebbero determinati dal “capriccio” del Caso ma conseguono ad una certa regolarità atta a creare appunto l’aspettativa nelle persone.

Gli argomenti inerenti il neurophysiological determinism (la tesi secondo cui ogni evento del corpo è unicamente legato a cause fisiche) sono stati esaminati da Thorp (1980). L’autore distinse tra: physiological determinism; determinism in neurophysiology; neurophysiological determinism.

Secondo Thorp (1980) il neurophysiological determinism sarebbe fondato su d’un sillogismo del quale: la Premessa Maggiore è il determinism in neurophysiology (secondo il quale ogni stato fisiologico è unicamente legato ad uno stato neurofisiologico); la premessa minore è data dalla tesi di correlazione (secondo la quale ogni stato neurofisiologico è connesso ad un tipo di decisione); la conclusione è data dal neurophysiological determinism capace di fornire spiegazioni neurofisiologiche delle decisioni umane (Thorp, 1980).

Lungi dal risolvere questo problema, rilevo come questa questione sia ontologicamente propedeutica ad ogni decisione inerente lo status epistemologico della Psicologia per vi motivi indicati supra.

Personalmente ipotizzerei una sorta di limbo intermedio tra le due posizioni. In questo limbo, l’uomo nasce “schiavo” del determinismo muovendosi “inconsapevolmente” in uno stato mentale[23] guidato dal condizionamento (Tart, 2000). In questo stato iniziale, egli vive come “addormentato”, all’interno d’un’ipnosi collettiva. Egli vive in una “realtà” non reale, ma oggettivata dalla costruzione socialmente (Berger & Luckmann, 1996)[24]. Quest’uomo, si ritrova ad essere un animale intrappolato in maglie di significati che lui stesso ha creato (Geertz, 1973), un animale che però ha la possibilità di riscattarsi: ovvero compiere quello che le tradizioni antiche indicano come “rinascita” e/o “risveglio”. Le tradizioni orientali (induiste) ad esempio, chiamano ciò col termine sanscrito dvija[25].

Questa condizione può essere definita come uno stato di Libero Arbitrio.  Una condizione che possiamo definire operativamente come: la capacità di passare da uno stato mentale dominato da processi mentali di causazione deterministica rispetto gli “inputs” ambientali ad uno stato mentale in cui l’individuo è capace d’autodeterminarsi rispetto agli inputs esterni.

Nella prima posizione, l’uomo agisce mosso esclusivamente: dall’Ipnosi collettiva; dai processi sociali; dai meccanismi di condizionamento classico ed operante; dagli inputs ambientali. Nella seconda posizione, l’uomo diviene libero d’autodeterminarsi diversamente dai valori che assumono questi fattori all’interno della sua funzione deterministica.

Sulla base di questa ipotesi, la psicologia potrebbe essere una scienza valida solo nei confronti del primo tipo di uomo; mentre, di contro, perderebbe ogni senso e valore verso il dvija capace di libero arbitrio.

L’Inganno del Post Hoc, Ergo Propter Hoc

 “… tutto il futuro

Conosco esatto e chiaro,

mai nessuna sventura verrà nuova”.

Prometeo in Eschilo, Prometeo Incatenato

Richiamando i, e rinviando ai, meccanismi citati di volta in volta nell’elaborato, termino questo scritto affermando che, all’interno della Soft Psychology, non di rado domina la struttura logica del: post hoc, ergo propter hoc. Intendendo con questo, l’insieme delle dinamiche che creano ex post (coi meccanismi del confermation bias) gli stessi controfattuali usati per corroborare, confermare, rinforzare l’insieme delle credenze iniziali.

Come avviene può essere compreso sviluppando themae della Psicologia Sociale e Labelling Theory.

La pervasività dell’influenza sociale

Parlando di pervasività dell’influenza sociale ci si riferisce a come l’intero essere individuale nelle sue diverse componenti (pensieri; sentimenti; comportamenti) è interamente determinato dagli altri (interazione sociale). Questo avviene sia quando gli altri sono presenti, sia quando non assenti.

Nulla può essere compreso in psicologia prescindendo dall’influenza sociale, una forza capace di determinarne anche l’identità dei soggetti.

Tutto il comportamento può essere spiegato collo schema: credenze – atteggiamenti – comportamento. Le credenze determinano gli atteggiamenti; gli atteggiamenti determinano il comportamento; il comportamento determina la risposta dell’altro. Attraverso questa catena, le credenze tendono a creare confermation bias (ovvero provocare nei soggetti i comportamenti corrispondenti ad esse).

I costrutti della psicopatologia, diventando parte delle credenze, partecipando alla costruzione sociale della Realtà. Essi influenzano l’interpretazione e la sistematizzazione degli eventi. Inoltre, determinano gli atteggiamenti ed i comportamenti degli agenti sociali, generando confermation bias.

Questo condusse alcuni studiosi a criticare gli approcci clinici in: psicopatologia; e psicologia forense.

Una prima critica fu mossa da LaPiere e Farnsworth (1936). Gli autori sostennero come le diverse forme di mal-aggiustamento, salvo quando non prodotte da lesioni fisiche, sono determinate dalle esperienze sociali vissute dalle persone. Queste esperienze, vissute in modo pieno e continuativo, conducono gradualmente il soggetto ad identificarsi in un ruolo maladattivo definito dalla società. I comportamenti maladattivi, sono tali, infatti, solo in relazione ad uno stereotipo di “sanità” assunto da una data comunità di discorso. Ciò che è considerato socialmente maladattivo può, di contro, in termini dell’esperienza di vita individuale, essere una buona forma di adattamento.

Scheff (1966) sviluppò oltre questo discorso, argomentando come i fenomeni ricadenti nell’etichetta di malattia mentale sono prodotti da giochi perversi d’identificazione ed interazione sociale.

Il fatto che col passare del tempo le forme mal-adattive cambino, seguendo delle mode, dimostra tali teorie, confutando quelle basate sui tratti.

La labelling theory portò questo discorso all’interno della psicologia forense e criminologia. Il primo autore a considerare la devianza, un fenomeno legato all’etichetta ed all’interazione sociale fu Becker (1963). Lemert (1972), in seguito, distinse fra devianza primaria e secondaria. Colla prima s’indica una devianza marginale, contestualizzata, che tende a riassorbirsi. Colla seconda s’indica una devianza che si è radicata nell’identità del soggetto a causa dell’etichetta data e della reazione sociale. Quest’ultima determina i fenomeni di confermation bias, portando il soggetto ad “accettare” di recitare il ruolo di deviante.

L’influenza sociale nel determinare il comportamento individuale è ben provata. Farrington (1977) condusse un quasi-esperimento che dimostrò empiricamente come le condotte antisociali (ed il radicarsi in un ruolo penalmente deviante) fossero conseguenti ai meccanismi sociali descritti dalla labelling theory, non ai tratti di personalità.

Recentemente, i risultati dello studio longitudinale “Peterborough Adolescent and Young Adult Development Study (PADS+)” pubblicati nel 2012 (Wikstrom et al., 2012) hanno dimostrato come le norme morali apprese (learning theory) colla socializzazione rivestono un ruolo maggiormente determinante rispetto alle caratteristiche individuali (la capacità d’autocontrollo; la regolamentazione emotiva; i tratti di personalità) nel determinare il comportamento deviante e criminale.

Chi scrive sviluppò questi studi[26]. Unì alla labelling theory ed alla psicologia sociale le ricerche dell’etologia umana, sviluppando una teoria falsificabile, non contradittoria, non normativa, capace di descrivere quei comportamenti spiegati attraverso il costrutto della personalità antisociale.

La teoria si basa su due passaggi.

Nel primo si descrive come un soggetto e/o gruppo sociale accetti il ruolo di deviante rispetto ad un gruppo maggioritario. L’intero agire umano è per natura ambivalente (Eibl-Eibelfeldt, 1993). In altre parole all’inizio non esiste alcun tratto. Il soggetto possiede entrambi gli opposti comportamenti. Solo col tempo, l’interazione sociale  seleziona alcuni di questi, rispetto ad altri, come schemi abituali di risposta. Ciò però non estingue gli schemi opposti, pronti ad essere riattivati col mutare delle condizioni ambientali. Assunto ciò, si è sviluppato un quadro teorico rielaborando ed evolvendo le teorie descritte supra.

La situazione di conflitto, la bassa stima sociale, etc…, create dall’etichetta e dalle credenze sociali, conducono il soggetto a sperimentare uno stato di social (Merton, 1956; Dohrenwend, 1978) e personal (Selye, 1936, 1976, 1982; Holmes e Rahe, 1967) distress. Questo stato di distress lo rende maggiormente influenzabile ai meccanismi d’influenzamento e di condizionamento sociale. Questi, operando pervasivamente, creano confermation bias. Non solo, influenzano pure la costruzione sociale della sua indenta, spingendolo all’accettazione del ruolo. Mentre inizialmente il soggetto prova a liberarsi dall’attribuzione di ruolo, col ripetersi dei fallimenti e l’impossibilità di mutare le credenze sociali, raggiunto lo stato di learn hopeless, finisce ad accettare il ruolo di deviante.

Nel secondo si descrive l’interazione sociale, attraverso la quale la società crea l’escalation, che spinge il deviante ad agire gli atti aggressivi che i clinici attribuiscono ai “tratti” dell’anti-socialità! Questo avviene passando da uno stato di aggressività intra specifica ad una  inter specifica[27] (Eibl-Eibelfeldt, 1993). Mentre gli animali non possono usare l’aggressività inter specifica contro i membri della stessa specie, l’uomo può farlo, poiché solo attraverso la cognizione (cultura; dinamiche sociali) egli definisce: il gruppo di appartenenza (metaforicamente la “propria specie”); ed i nemici verso cui applicare l’aggressività inter-specifica. Un’aggressività necessaria alla competizione degli spazi vitali.

Questo spiega congruamente, in modo falsificabile e verificabile, il perché: possa occorrere una correlazione positiva fra il comportamento pro-sociale ed il comportamento antisociale; e perché esiste il crud factor.

Una teoria compatibile ad ogni riflessione critica analizzata, capace anche di non violare la legge di Hume in quanto: non è normativa. Essa considera normale ogni risposta data dal soggetto agli inputs provenienti dai diversi contesti sociali. Lo scopo della teoria è illustrare, comprendere e spiegare, come si origina quella risposta. Non è, di contro, quello d’ergersi a Dio decidendo cosa sia: normale e anormale; secondo natura o contro natura; etc… . Tutto ciò che accadere, per il fatto d’accadere, è necessariamente e logicamente sempre secondo Natura, non potendo essere diversamente. Tutto ciò che accade, per il fatto stesso d’accadere, è sempre normale, ovvero secondo norma della funzione inscritta all’interno della Natura che prevede quel risultato, una volta in cui i suoi parametri raggiungono quei dati valori. Una funzione che come le leggi fisiche è inscritta nella tessitura dell’Universo.

Perché c’è una forte tendenza a difendere le incoerenti prospettive cliniche?

Questo avviene per la loro utilità nello spostare l’attenzione dai fatti oggettivi (appartenenti alle dinamiche sociali) a “dimensioni” prive di oggettività, facilmente manipolabili coll’interpretazione. Inoltre, esse sono funzionali ad una versione moderna dell’antico meccanismo del capro espiatorio. Il gruppo sociale maggioritario, non potendo accettare d’essere colpevole del male causato, lo imputa tutto a un soggetto. Questo, non può averlo appreso dalla società (che per definizione deve restare sempre sommamente buona). Quindi, di contro, deve essere al suo interno. Da qui l’esigenza di spiegare tutto coi tratti di personalità. Non a caso, una delle caratteristiche (ed uno dei tratti) attribuite/i allo Psicopatico è l’incapacità d’imparare! Questo elemento deriva dalla, ed allo stesso tempo sottolinea come la, struttura sottostante a tale costrutto sia quella del capro espiatorio.

L’azione del meccanismo del “Post Hoc, Ergo Proter Hoc” nel dare pseudo-corroborazione ai costrutti

Il meccanismo del post hoc, ergo proper hoc, attraverso i meccanismi detti supra crea ex post conferma alle credenze. Prova è data dagli studi citati supra di Rosenhan (1973; 1975) e quelli di Palo Alto.

Inoltre, in psicologia, c’è la tendenza a vedere come psicopatologico tutto ciò che non si comprende e/o non si conosce. Esempio storico è dato dalla paresi progressiva. Un “disturbo psichiatrico” piuttosto rilevante, rappresentando il 15% della popolazione istituzionalizzata. Una patologia ritenuta psichiatrica fino a quando fu scoperta la vera causa: un’infezione del cervello causata da un microrganismo chiamato Treponema Pallidum. Fino allora, ogni comportamento era interpretato, attraverso le lenti distorsive della psicopatologia, in modo tale da essere attribuito al malfunzionamento di entità vaghe quali il pensiero (!) e/o i tratti (!) …, due entità che si prestano a tutto!

Un esempio attuale in cui opera il post hoc, ergo propter hoc: il Morbo di Morgellons

Un esempio recente di bassa interrogazione epistemologica, nel quale è fatto largo uso del post hoc, ergo propter hoc, lo abbiamo nell’attualità del Morbo di Morgellons.

Il Morbo di Morgellons è un “nuovo fenomeno” caratterizzato dalla produzione di filamenti colorati sottocutanei che tendendo ad uscire dal corpo producendo piaghe e lesioni, oltre ad uno stato di affaticamento cronico. Subito, gli Psichiatri ed i Clinici, guardandolo attraverso le lenti del loro paradigma, l’hanno liquidato come malattia mentale. Uno sostenitore di questa tesi è Peter Lepping (Psichiatra). Egli spiega come tutti i sintomi fisici siano causati dal fatto che le vittime, a causa del prurito, si grattano. Per quanto concerne i filamenti colorati, poi non c’è dubbio alcuno, la risposta è che siano tessuti tessili messi dagli stessi soggetti sotto la cute e nelle piaghe mentre si grattano senza averne consapevolezza. Nonostante ciò, i soggetti sostengono come le affermazioni dello psichiatra siano false. L’averli definiti malati di mente però li isola socialmente, facendo in modo che nessuno gli ascolti.

Randy Wymore (professore di farmacologia) ha voluto verificare tali ipotesi. Prelevò alcuni campioni di filamenti da un campione di venti soggetti affetti dal morbo. I filamenti furono analizzati e comparati usando il database della Polizia Forense che contiene ogni fibra tessile conosciuta ed usata a scopo commerciale . Il risultato fu che le fibre non trovavano riscontro nel database[28]. Ciò dimostra che i filamenti colorati: non sono tessili; e soprattutto non sono inseriti sottocute dai soggetti quando si grattano[29] .

La microbiologa Marianne Middelveen cercò di studiare più approfonditamente queste fibre. Dai suoi studi emerse l’ipotesi che le “fibre” si producano all’interno dei tessuti umani. In particolare è stato osservato come nei campioni studiati alla base dei filamenti posso essere visti i tessuti in continua crescita.

Non svilupperò il thema sull’origine di tali fibre[30]  poiché quello che ci interessa è come abbiano operato i processi logico-epistemologici nel corroborare il ragionamento psicopatologico.

Il ragionamento psicopatologico ha mostrato di: fallire difronte al principio di Realtà; reagire in modo superstizioso all’insolito a là Maleus Maleficarum; difettare d’ogni interrogazione ed esame logico-epistemologica; tendere a vittimizzare l’innocente vittima, mosso dal bias del just a world (… se gli capita è perché se l’è meritato).

Questo emerge nel verificare che la tesi della malattia mentale fu avanzata prima ancora di verificare i controfattuali: l’origine; e la natura delle fibre. Poi, fu argomentata col post hoc, ergo propter hoc. Una volta esistenti delle lesioni cutanee, con i rispettivi processi di cicatrizzazione (originati inizialmente dalle fibre non tessili) si gioca sull’ambiguità del naturale deposito di eventuali fibre tessili nel processo di cicatrizzazione come prova che è il soggetto a mettersi tale fibre nelle ferite!

Lo stato di malessere provato dai soggetti, attribuito dai clinici allo stato mentale psicotico, è di contro causato dalla stessa azione dei clinici. I soggetti riportano come ciò che li fa soffrire è proprio questo, il non essere creduti e l’essere considerati malati di mente, quando non lo sono.

Personalmente non voglio prendere alcuna posizione netta pro o contro.

Rilevo l’insensatezza logica del ragionamento clinico nel: non considerare i controfattuali; concludere che tutti i casi sono fenomeni di malattia mentale.

Sarebbe più logico e prudente presupporre una coesistenza di due ipotesi diverse: una psichiatrica, dov’è il soggetto a mettersi sottocute dei filamenti tessili (qualora nel caso singolo si provi questo con controfattuali); ed una non psichiatrica, dove questi filamenti non sono messi sottocute dai soggetti (esaminando ciò coi controfattuali). In caso di dubbio, il giudizio deve rimanere sospeso.

La riflessione epistemologica è importante per evitare che oggigiorno alcune aree della psicologia possano diventare terreno fertile nel quale, antichi phenomena (che caratterizzarono l’Inquisizione), riemergano sotto mentite spoglie attraverso: apparenze pseudo-scientifiche; e formulazioni grammaticali fuorvianti.

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[1] Arteffatto è qualsia “creazione” culturale e/o umana che va: dagli strumenti materiali alle teorie e/o costrutti. Tutti gli artefatti mediano la relazione intercorrente tra gli individui ed il Mondo. Mediare è rendere accessibile all’esperienza (Mantovani, 2007). Ogni mediazione però NON è mai neutra, modificando l’esperienza. L’artefatto limita (guida e filtra) la percezione in un dato modo (Mantovani, 2007).

[2] Exempli gratia, l’alterazione dei data psicoanalitici iniziò con Freud. Dal caso di Anna O. la fabbricazione dei dati psicoanalitici è stata una costante (Borch-Jacobsen 1996, 2005a; 2005d; Esterson A., 2005a; Israels H. 2005c, 2005d; Sulloway F. J. 2005c, 2005d;). Essa è stata usata per convalidare exempli gratia: la teoria della seduzione (Esterson A. 1993, 1998, 2001, 2002, 2005a; Borch-Jacobsen 2002; Cioffi F. 1998; Israels H. 1993, 2005a; Masson J. 1984; Scharnberg M. 1993; Schimek J. G. 1987; Sulloway F. 2005a); false guarigioni (Israels H. 2005b; Borch-Jacobsen, 2005c; Sulloway F. J. 2005b; Stengers I. 2005).

Famoso è stato il caso di Bettelheim e del suo libro La fortezza vuota (e.g. Bettelheim B., 1976; Kanner L. 1964; Pollak, 2005).

[3] Esso può anche dipendere dall’effetto di mera esposizione, la tendenza a preferire gli oggetti a cui si è stati esposti con maggior frequenza. I clinici passano la “vita” a guardare il Mondo attraverso i costrutti psicopatologici (restando esposti a questi continuamente). Ciò li porta a vedere quest’ultimi ovunque, come spiegazione d’ogni evento.

[4] I tre giudici sono professionisti in psichiatria e psicologia.

[5] Exempli gratia: Nick Pope (ex funzionario del Ministero della Difesa Inglese a capo dell’Ufficio Investigativo sui Fenomeni Ufologici) confermò la prassi di screditare socialmente chi si occupava e parlava di tali fenomeni. Altre testimonianze emersero nel Citizen Hearing avvenuto al Congresso Americano nel 2013 (www.citizenhearing.org). Molti testimoni oculari furono apertamente minacciati ed “invitati” a tacere. Altri documenti che confermano tali prassi sono affiorati grazie al Freedom Information Act.

[6] Il libro pubblicato nel 1487 dai monaci Domenicani Kraemer e Sprenger per “diagnosticare” le streghe.

[7] Alcune Nazioni (e.g. Inghilterra) imposero l’oggettività d’una condotta criminale; altre (e.g. la Scozia) esclusero l’esistenza di questa “patologia mentale”.

[8] Alcuni clinici hanno riscontrato tratti di psicopatia in personaggi quali: Madre Teresa di Calcutta. La Santa, secondo questi, integrava sufficienti items diagnostiche per rientrare all’interno d’un quadro psicopatologico di psicopatia. Exempli gratia osservarono presenza di: disobbedienza verso l’Autorità (che la invitò a non occuparsi dei Fuori Casta); rifiuto ad uniformarsi ed omologarsi al comportamento della massa (che, di contro, si disinteressava dei Fuori Casta); incapacità ad imparare per la manifesta tendenza a persistere nelle proprie idee; e soprattutto una decisa callosità ed assenza del rimorso per ciò che faceva (!). Altre persone ritenute psicopatiche furono Rousseau; Lord Byron; Churchill; etc… . Di contro, alcuni eminenti clinici ritennero che i criminali nazisti non integrassero la psicopatia essendo state a loro giudizio persone pro sociali.

[9] Non, l’avere.

[10] Esempi di violenze sociali attuate nei confronti dei ricercatori sono: la privazione improvvisa di fondi promessi; il diventare oggetto di pettegolezzi e di rumori infamanti miranti a distruggerne la credibilità; l’essere licenziati o almeno il non essere promossi; l’allontanamento dall’uso d’alcune biblioteche ed altre facilitazioni indispensabili al loro lavoro; la privazione dei privilegi goduti.

In casi estremi: finire vittime d’attacchi fisici; ricevere minacce rivolte verso i membri della propria famiglia; ritrovare bombe nelle proprie automobili; etc… .

[11] Non ritengo la genialità essere una qualità rara negli esseri umani. Di contro, ritengo che sia: raramente sviluppata; o difficilmente mostrata; … a causa delle dinamiche e delle interazioni sociali che tendono a punirla: estinguendola. La genialità porta ad uscire dagli schema ed esplorare il Nuovo; la Società e la Psicologia, di contro, tendono ad omologare.

Da una parte, la naturale tendenza degli esseri umani, attraverso la socializzazione, la ricerca di consenso ed appartenenza, li porta a conformarsi alle norme sociali, agli stereotipi, ai ruoli, alle credenze, all’habitus del propria Cultura. Dall’altra parte, la società e la psicologia (che non può che non riflettere l’agire umano) tendono a sanzionare, considerare patologico ed anormale, tutto ciò che devia e/o esce dalle norme sociali, dall’ordinario, dalle credenze, dalla routine.  Così è: sanzionato chi mostra genialità; premiato e rinforzato chi s’omologa allo status a quo.

Preciso che la devianza della genialità è rispetto il paradigma, le credenze, la forma mentis; altra cosa è la devianza criminale che, coinvolgendo fenomeni d’aggressività violenta, consegue ad altre dinamiche sociali (di cui un accenno incidentale è dato verso la fine di questo scritto).

[12] Muje in giapponese significa indipendente. Questo termine crea un gioco linguistico. Mu è il nulla; Ye è sia la dipendenza, sia il vestito. Muje quindi è al contempo: l’essere indipendente; l’essere “senza abiti addosso”.  L’abito essendo allegoria dell’habitus, forma mentis, che imprigiona il ragionamento all’interno di schemi prestabiliti crea il gioco di parole. L’essere senza abito è l’essere libero di ragionare trascendendo i limiti d’ogni schema.

Una qualità importante per il Buddhismo Zen della scuola Rinzai che definisce il suo uomo: muje.

[13] Che conformemente a Meehl comprende: la Psicologia Sociale e di Comunità; la Psicologia dell’Educazione; la Psicologia della Personalità; la Psicologia Clinica e Psicopatologia; il Counselling.

[14] I dieci fattori, usando i nomi inglesi originari usati da Meehl (1990a), sono: loose derivation chain; problematic auxiliary theories; problematic ceteris paribus clause; experimenter error; inadequate statistical power; crud factor; pilot studies; selective editorial bias; detached validation claim for psychometric instruments.

[15] Ciò comporta la riduzione dell’errore di I tipo (il rischio di rigettare una vera ipotesi nulla), aumentando, di contro, l’occorrenza d’errore di II tipo (non rigettare una falsa ipotesi nulla).

[16] La legge di Hume impedisce di poter passare dalla dimensione descrittiva a quella normativa.

[17] Il primo a rilevare l’analogia fra psicanalisi e sette fu Alfred Hoche (1910) in Eine psychische Epidemie under Aertzen in Medizinische Klinik, vol. 6, 1910.

[18] Il metodo dell’Autorità consiste nell’accettare le informazioni riferite da una fonte senza mettere in dubbio quanto da essa riferito (Zappalà, 2007), e/o ritenere vero tutto ciò che è stato detto da qualcuno che detiene un certo tipo di potere (Chiorri, 2009). Una metodologia sconsigliata da accettare come metodo di conoscenza poiché le Autorità spesso si sbagliano, anche quando affermano idee con grande convinzione (McBurney, 2001).

[19] Ognuno di Noi potrebbe volendo fondare una “propria scuola psicoanalitica” qui ed oggi. Le proprie teorie avrebbero la stessa dignità scientifica ed intellettuale di quelle di ogni altro psicoanalista vissuto fino ad oggi. All’accusa di mancare di insight, si può rispondere re-inviando l’accusa al mittente. Questo poiché non è scienza, non ci sono fatti, ma solo ideologia ed interpretazioni retrospettive di fatti guardati colle lenti distorsive indossate.

[20] Gli atti del convegno furono pubblicati dal filosofo della scienza Hook (1959).

[21] Qui si tralascia il fatto che la teoria freudiana dello sviluppo psico-sessuale non ebbe fondamento scientifico, ma fu sviluppata da Freud (riprendendo idee di Fliess) “estorcendo” dai pazienti le storie che lui voleva sentire per confermare la sua idea (Sulloway, 2005a).

[22] L’autore nel suo articolo si rivolgeva espressamente ai Lacaniani.

[23] Inteso a là Fodor (1975; 2003) e non a là psicoanalisi (Rosso, 2013).

[24] L’oggettivazione è data dal processo di costruzione sociale della realtà secondo il quale gli esseri umani, interagendo socialmente, producono: sia le loro identità individuali; sia le realtà sociali esperite. Questo avverrebbe col processo trifasico descritto da Berger & Luckmann (1996) di: esternazione; oggettivazione; internalizzazione.

[25] E.g. nei Purana.

[26] Il Presente Autore iniziò a sostenere queste Tesi dal 2003. Nonostante non furono rese disponibili al Grande Pubblico (e.g. in internet), comparvero in diverse Papers. Exempli gratia, all’Università di Cambridge (tra il 2005/2006): furono discusse in alcuni essays; e presentate all’interno della Dissertazione scritta per MPhil in Criminology.

[27] Quella operante nei contesti di guerra.

[28] Da esso mancano solo quelle fibre che, per particolari ragioni di segretezza (e.g. militare), non sono inserite. Fibre che, in ogni caso, nessun civile può disporre in alcun modo.

[29] In seguito, si è tentato di verificare se fossero presenti dei composti organici.

Questi possono essere rilevati ponendo il materiale ad alte temperature. Per effetto del calore, i composti organi si trasformano in gas. I tessuti del campione si sono mostrati resistenti persino a temperature di 760 gradi Celsius. Nei filamenti era assente qualsiasi composto organico conosciuto.

[30] Alcuni hanno ipotizzato le fibre essere: d’origine extraterrestre; e/o legate alle nanotecnologie.